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Рассказ «На Биг-ривер: часть первая» (Grande fiume dai due cuori: Parte prima) на итальянском языке

Рассказ «На Биг-ривер: часть первая» (Grande fiume dai due cuori: Parte prima) на итальянском языке – читать онлайн, автор книги – Эрнест Хемингуэй. Полный список всех рассказов, повестей и романов можно увидеть в разделе «Книги на итальянском».

Для тех, кто изучает итальянский язык самостоятельно, есть раздел «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке».

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Теперь переходим к чтению рассказа «На Биг-ривер: часть первая» (Grande fiume dai due cuori: Parte prima) на итальянском языке, автор книги – Эрнест Хемингуэй.

 

Capitolo XIV

 

Maera giaceva immobile, la testa sulle braccia, il viso nella sabbia. Sentiva il calore e la vischiosità del sangue che aveva perso. Sentiva, ogni volta, il corno arrivare. A volte il toro si limitava a urtarlo con la testa. Una volta il corno lo bucò da parte a parte e Maera lo sentì affondare nella sabbia. Qualcuno tirava il toro per la coda. Lo coprivano di contumelie e gli agitavano la cappa sul muso. Poi il toro sparì. Due o tre uomini sollevarono Maera e si misero a correre con lui verso le barriere oltre il cancello lungo il corridoio sotto le tribune fino all'infermeria. Deposero Maera su un lettino e uno degli uomini andò a chiamare il dottore. Gli altri rimasero lì in piedi. Il dottore arrivò di corsa dal corral dove stava ricucendo i cavalli dei picadores. Dovette fermarsi per lavarsi le mani. Sopra, in tribuna, il pubblico urlava. Maera aveva l'impressione che ogni cosa diventasse sempre più grande, e poi sempre più piccola. Poi diventò sempre più grande, e poi sempre più piccola. Poi tutto si mise a correre sempre più in fretta come quando si accelera la velocità di proiezione di un film. Poi Maera era morto.

 

Grande fiume dai due cuori: Parte prima

 

Il treno proseguì lungo il binario, sparendo dietro uno dei colli coperti di alberi bruciati. Nick si mise a sedere sul fagotto con la tenda e le coperte che il ferroviere aveva buttato fuori dallo sportello del bagagliaio. Non c'era nessuna città, non c'erano altro che i binari e la campagna bruciata. I tredici saloon che una volta si allineavano lungo l'unica strada di Seney non avevano lasciato alcuna traccia. Le fondamenta dell'albergo Mansion House affioravano dal suolo. La pietra era scheggiata e spaccata dal fuoco. Era tutto quello che restava della città di Seney. L'incendio aveva distrutto persino la crosta della terra.

Nick guardò il fianco bruciato del colle, dove si era aspettato di trovare le case sparse della città, e poi camminò lungo il binario della ferrovia fino al ponte sul fiume. Il fiume c'era. Vorticava contro i piloni di legno del ponte. Nick guardò nell'acqua limpida e bruna, colorata dai sassi del fondo, e studiò le trote che con le pinne guizzanti si tenevano ferme nella corrente. Mentre Nick le studiava, le trote, con rapidi colpi di coda, cambiavano posizione, solo per fermarsi nuovamente nell'acqua impetuosa. Nick le studiò a lungo.

Le vide ferme col muso contro la corrente, molte trote nell'acqua profonda e impetuosa, un po' deformate dal fatto che Nick le guardava dall'alto e da lontano attraverso la superficie vitrea e convessa del gorgo, che si gonfiava per la resistenza offerta dai piloni di tronchi del ponte. In fondo al gorgo c'erano le trote più grosse.

Nick, dapprima, non le vide. Poi le scorse in fondo al gorgo, grosse trote che cercavano di tenersi vicino alla ghiaia del fondo in una nebbia di sabbia e sassolini sollevati a scatti dalla corrente.

Nick, dal ponte, guardava giù nel gorgo. Era una giornata molto calda. Un martin pescatore risaliva il fiume. Molto tempo era passato da quando Nick aveva affondato lo sguardo in un corso d'acqua e visto delle trote. Era una grande soddisfazione. Mentre l'ombra del martin pescatore scivolava lungo il fiume, una grossa trota saltò fuori dall'acqua, obliquamente, nella stessa direzione della corrente, e solo l'ombra ne segnò l'inclinazione, l'ombra che perse quando si tuffò sotto la superficie dell'acqua, per farsi di nuovo illuminare dal sole, e poi, mentre rientrava nella corrente sotto la superficie, la sua ombra parve scendere fluttuando con la corrente lungo il fiume, senza fare resistenza, fino al suo posto sotto il ponte dove la trota si fermò col muso rivolto alla corrente.

Anche il cuore di Nick si fermò, quando la trota si mosse. Provava tutte le sensazioni di una volta.

Si voltò e guardò verso la valle. Il fiume si allungava in lontananza, col fondo ghiaioso interrotto da secche e grandi massi e da una pozza profonda nell'ansa che faceva ai piedi di un roccione.

Nick tornò indietro, camminando sulle traversine, fino al punto in cui giaceva il suo zaino, tra le scorie di carbone di fianco al binario della ferrovia. Era felice. Legò il fagotto allo zaino, stringendo le cinghie, si buttò lo zaino in spalla, infilò le braccia negli spallacci e alleviò il peso che gli gravava sulle spalle appoggiando la fronte alla larga fascia della tump-line. Anche così, era troppo pesante. Troppo, troppo pesante. Nick aveva in mano l'astuccio di cuoio delle canne da pesca, e sporgendosi in avanti per tenere il peso dello zaino alto sulle spalle camminò lungo la strada parallela alla ferrovia, lasciandosi dietro, nella canicola, la città bruciata, e poi girò intorno a una collina che ne aveva, a destra e a sinistra, altre due alte e sfregiate dal fuoco, per prendere una strada che si spingeva nell'interno. Camminava lungo la strada sentendo il dolore provocato dalla tensione del pesante sacco da montagna. La strada saliva regolarmente. Era faticoso procedere in salita. Gli dolevano i muscoli e la giornata era molto calda, ma Nick si sentiva felice. Sentiva di essersi lasciato dietro tutto, il bisogno di pensare, il bisogno di scrivere, altri bisogni. Era tutto alle sue spalle.

Da quando era sceso dal treno e il ferroviere aveva buttato il suo zaino fuori dallo sportello aperto del vagone, le cose erano cambiate. Seney era bruciata, bruciato e mutato era il paesaggio, ma questo non contava. Non poteva essere bruciato tutto. Lo sapeva. Nick marciava lungo la strada, sudando sotto il sole, arrampicandosi per attraversare la catena di colline che separavano la ferrovia dalle pinete della pianura.

La strada proseguiva, abbassandosi di tanto in tanto, ma sempre in salita. Nick continuava ad arrampicarsi. Finalmente, dopo essere corsa, per un po', parallela al versante bruciato, la strada raggiunse la cima. Nick appoggiò le spalle a un ceppo e si tolse lo zaino. Davanti a lui, fin dove poteva spingere lo sguardo, si stendeva la pianura coperta di pini. L'area bruciata finiva, a sinistra, con la catena dei colli. Più avanti, nere isole di pini sorgevano dalla pianura. Lontano a sinistra c'era la linea del fiume.

Nick la seguì con l'occhio e colse i bagliori dell'acqua sotto il sole.

Davanti a lui non c'era altro che la pianura coperta di pini, fino ai lontani colli bluastri che segnavano lo spartiacque del lago Superiore. Riusciva appena a vederli, pallidi e lontani nella gran luce calda sopra la pianura. Se teneva lo sguardo troppo fisso, sparivano. Ma se vi gettava solo un'occhiata erano lì, i colli lontani dello spartiacque.

Nick si mise a sedere con le spalle contro il ceppo carbonizzato e fumò una sigaretta. Lo zaino stava in equilibrio in cima al ceppo, con le cinghie pronte e una cavità plasmatavi dentro dalla sua schiena. Nick sedeva fumando, guardando il panorama. Non aveva bisogno di tirar fuori la carta. Sapeva dov'era dalla posizione del fiume.

Mentre fumava, con le gambe allungate davanti a sé, notò una cavalletta che si muoveva sul terreno e si arrampicava sul suo calzettone di lana. La cavalletta era nera. Camminando per la strada, mentre saliva, Nick aveva fatto saltar fuori dalla polvere molte cavallette. Erano tutte nere. Non erano le grosse cavallette con le ali gialle e nere o rosse e nere che quando l'insetto spicca il volo spuntano vorticose dal nero tegumento delle ali. Erano cavallette comunissime, ma tutte di un color nero fuliggine. Nick le aveva notate, camminando, senza pensarci davvero tanto. Ora, mentre guardava la cavalletta nera che con la sua bocca a quattro movimenti mordicchiava la lana del calzettone, si rese conto che erano diventate tutte nere perché vivevano nella terra bruciata. Sapeva che l'incendio doveva essere scoppiato l'anno prima, ma ora le cavallette erano tutte nere. Si chiese per quanto tempo sarebbero rimaste così.

Cautamente abbassò la mano e prese la cavalletta per le ali. La rovesciò, con tutte le zampine che si agitavano nell'aria, e ne studiò l'addome segmentato. Sì, era nero anche quello, iridescente, mentre il dorso e la testa erano polverosi.

- Va', cavalletta, - disse Nick, parlando per la prima volta ad alta voce. -Vola via, vattene in qualche posto.

Gettò in aria la cavalletta e la guardò volare fino a un ceppo carbonizzato di là dalla strada.

Nick si alzò. Appoggiò la schiena contro il peso dello zaino, che poggiava verticalmente sul ceppo, e ficcò le braccia negli spallacci.

Rimase per un attimo con lo zaino in spalla sulla cresta della collina, guardando lontano verso la campagna, e verso il fiume ancora più lontano, e poi lasciò la strada e iniziò la discesa. Sotto i piedi, il terreno era compatto. Duecento metri più in basso finiva l'area bruciata. Da lì si camminava tra felci quercine, che arrivavano alla caviglia, e macchie di pini; un lungo terreno ondulato, con frequenti salite e discese, sabbioso sotto i piedi; e una campagna nuovamente viva.

Nick manteneva la direzione con l'aiuto del sole. Sapeva dove voleva raggiungere il fiume e così continuò a camminare tra i pini della pianura, scalando collinette per vedere altre colline davanti a sé e qualche volta, dalla cima di un'altura, una grande isola compatta di pini a destra o a sinistra. Strappò qualche ciuffo di felce quercina, tanto simile all'erica, e se lo mise sotto gli spallacci. Lo sfregamento schiacciò i rametti e Nick, camminando, ne sentiva l'odore.

Era stanco e molto accaldato, mentre marciava attraverso quella pianura accidentata e senz'ombra. Sapeva, voltando a sinistra, di poter raggiungere il fiume ogni volta che avesse voluto. Non poteva essere a più di un chilometro e mezzo di distanza. Ma continuò a procedere verso nord per raggiungerlo quanto più a monte gli fosse possibile in un giorno di marcia.

Per qualche tempo, mentre camminava, Nick era rimasto in vista di una delle grandi isole di pini che spiccavano sopra l'ondulato altopiano che stava attraversando. Si portò a una quota più bassa e poi, mentre saliva lentamente fino alla cresta della collina, voltò e si diresse verso la pineta.

Non c'era sottobosco nell'isola di pini. I tronchi degli alberi puntavano diritti verso il cielo e s'inclinavano l'uno verso l'altro.

I tronchi erano senza rami, dritti e bruni. I rami erano molto in alto. Alcuni s'intrecciavano gettando un'ombra compatta sul fondo bruno della foresta. Intorno al boschetto di pini c'era uno spazio vuoto. Era color marrone e soffice sotto i piedi quando Nick l'attraversò. Era il bordo esterno del tappeto di aghi di pino, che appariva più largo dell'ombrello. Gli alberi erano cresciuti e i rami si erano spostati più in alto, lasciando al sole questo spazio brullo che una volta avevano coperto con la propria ombra. Bruscamente, ai margini di questo prolungamento del tappeto, cominciavano le felci quercine.

Nick si tolse lo zaino e si distese all'ombra. Si sdraiò sulla schiena e alzò lo sguardo ai pini. Il collo e le spalle e le reni riposavano, mentre si stirava. Era piacevole sentire la terra contro la schiena. Nick alzò lo sguardo al cielo, tra i rami, e poi chiuse gli occhi. Li aprì e tornò a guardare in su. C'era una brezza che spirava tra i rami. Tornò a chiudere gli occhi e si assopì.

Nick si svegliò con le ossa rotte e con le membra indolenzite. Il sole era quasi tramontato. Lo zaino era pesante e le cinghie gli segavano le spalle, quando se lo infilò. Si chinò col sacco in spalla, raccolse l'astuccio di cuoio delle canne e uscì dal boschetto di pini attraverso la distesa di felci, verso il fiume. Sapeva che non poteva essere a più di un chilometro e mezzo.

Dal fianco di un colle coperto di ceppi sbucò in un prato. Ai margini del prato scorreva il fiume. Nick era contento di averlo raggiunto. Attraverso il prato, si diresse a monte del fiume. Mentre camminava, i calzoni gli si erano inzuppati di rugiada. Dopo il caldo della giornata, la rugiada era venuta subito, e abbondante. Il fiume non faceva rumore. Era troppo veloce e tranquillo. Sul ciglio del prato, prima di salire su un rialzo del terreno per piantarvi la tenda, Nick guardò le trote che saltavano nel fiume. Saltavano per prendere gli insetti che venivano dalla palude all'altra riva del fiume quando tramontava il sole. Per prenderli le trote saltavano fuori dall'acqua. Mentre Nick camminava sulla stretta striscia di prato lungo il fiume, le trote avevano spiccato grandi balzi fuori dall'acqua. Ora, mentre lui guardava il fiume, gli insetti dovevano essersi posati sulla superficie, perché per tutta la sua larghezza il fiume era pieno di trote che pasturavano. Fin dove arrivava il suo sguardo, le trote venivano a galla, costellando di cerchi la superficie dell'acqua, come se stesse cominciando a piovere.

Il terreno saliva, sabbioso e alberato, fino a dominare il prato, il tratto di fiume e la palude. Nick depose lo zaino e l'astuccio delle canne e cercò un pezzo di terra pianeggiante. Aveva una gran fame e voleva piantare la tenda prima di cucinare. Tra due pini il terreno era perfettamente piano. Nick prese l'accetta dallo zaino e tagliò due radici sporgenti, sgombrando così un pezzo di terra abbastanza ampio per potervi dormire. Poi spianò con le mani il terreno sabbioso e strappò con le radici tutte le piante di felci quercine, che gli lasciarono il loro profumo sulle mani. Spianò la terra smossa. Non voleva che qualcosa gli formasse delle protuberanze sotto le coperte. Quando ebbe spianato il terreno, stese le sue tre coperte. Una la piegò in due, mettendola sul fondo. Sopra la prima stese le altre due.

Con l'accetta staccò da un ceppo una chiara scheggia di pino e la spaccò per fare i picchetti per la tenda. Li voleva lunghi e robusti perché tenessero bene nel terreno. Con la tenda slegata e stesa per terra, lo zaino, appoggiato a un pino, sembrava molto più piccolo.

Nick legò al tronco di uno dei pini la fune che fungeva da colmo della tenda e sollevò la tenda da terra con l'altro capo, che assicurò all'altro pino. La tenda rimase sospesa alla fune come una coperta di tela su una corda da bucato. Nick ficcò il palo che aveva tagliato sotto la parte posteriore della tela e poi la trasformò in una tenda picchettandone i lati. Tirò bene la tela e conficcò profondamente i picchetti, piantandoli nel terreno con la testa dell'accetta finché gli anelli di corda non furono interrati e la tela tesa come un tamburo.

Sull'imboccatura della tenda Nick fissò un pezzo di buratto per tener fuori le zanzare. Poi entrò strisciando sotto la zanzariera con varie cose tolte dallo zaino da mettere a capo del letto sotto la tela inclinata. Nella tenda la luce filtrava attraverso la tela bruna. C'era un buon odore di tela. C'era già un che di accogliente e misterioso. Mentre entrava strisciando nella tenda, Nick era felice.

Per tutto il giorno non era mai stato infelice. Ma questo era diverso. Adesso la cosa era fatta. C'era stato questo da fare. E adesso era fatto. Era stata una camminata faticosa. Nick era molto stanco. Ma era fatta. Aveva piantato la tenda. Era sistemato. Nulla poteva toccarlo. Era un bel posto per campeggiare. E lui era lì, in quel bel posto. Era nella sua casa, dove se l'era costruita. E adesso aveva fame.

Uscì, strisciando sotto il pezzo di buratto. Fuori era completamente buio. C'era più luce sotto la tenda.

Nick si avvicinò allo zaino e trovò, con le dita, un chiodo lungo in un sacchetto di carta pieno di chiodi, sul fondo dello zaino. Lo piantò nel pino, tenendolo vicino al tronco e picchiandolo pian piano con la testa dell'accetta. Al chiodo appese lo zaino. Tutte le sue provviste erano lì. Adesso erano sollevate da terra e al sicuro.

Nick aveva fame. Non credeva di aver mai avuto più fame. Aprì e vuotò nella padella una scatola di carne di maiale con fagioli e una di spaghetti.

- Ho il diritto di mangiare questa roba, se sono pronto a portarmela dietro, - disse Nick. La sua voce risuonò stranamente nel bosco sempre più buio. Nick non parlò più.

Accese un fuoco con alcune schegge di pino staccate da un ceppo con l'accetta. Sul fuoco piazzò una graticola, piantando con lo scarpone le quattro gambe nel terreno. Nick mise la padella sulla graticola, sopra le fiamme. Aveva più fame. I fagioli e gli spaghetti si scaldavano. Rimestandoli Nick unì gli uni agli altri. Cominciavano a gorgogliare, formando delle bollicine che salivano faticosamente alla superficie. L'odore era buono. Nick tirò fuori una bottiglia di salsa di pomodoro e tagliò quattro fette di pane. Ora le bollicine salivano più in fretta. Nick si sedette accanto al fuoco e tolse la padella.

Versò nel piatto di stagno metà del contenuto, che si allargò lentamente sul piatto. Nick sapeva che era troppo caldo. Vi mise sopra un po' di salsa di pomodoro. Sapeva che i fagioli e gli spaghetti erano ancora caldi. Guardò il fuoco, poi la tenda, non voleva rovinare tutto bruciandosi la lingua. Per anni non aveva mai gustato le banane fritte perché non era mai stato capace di aspettare che si raffreddassero. La sua lingua era molto delicata. Nick aveva una fame da lupo. Oltre il fiume, sulla palude, nell'oscurità quasi totale, vedeva levarsi una nebbiolina. Guardò ancora una volta la tenda. Bene. Riempì il cucchiaio e se lo portò alla bocca.

- Cristo, - disse Nick. -Gesù Cristo, - disse allegramente.

Prima di ricordarsi del pane aveva già divorato tutto il piatto.

Nick finì col pane il secondo piatto, pulendolo fino a farlo sfavillare. Non mangiava da quando, nel ristorante della stazione di St Ignace, aveva preso un panino al prosciutto e una tazza di caffè.

Era stata una bellissima esperienza. Aveva già avuto tanta fame, ma non aveva potuto soddisfarla. Avrebbe potuto accamparsi qualche ora prima, se avesse voluto. Lungo il fiume c'erano un mucchio di bei posti per la tenda. Ma questo andava bene.

Nick ficcò sotto la graticola due grosse schegge di pino. Il fuoco divampò. Aveva dimenticato di prendere l'acqua per il caffè. Tolse dallo zaino un secchio pieghevole di tela e attraverso il prato andò giù al fiume. L'altra riva era avvolta in una nebbiolina bianca.

L'erba era umida e fredda, quando s'inginocchiò sulla riva e immerse il secchio di tela nell'acqua. Gonfiato dalla corrente, il secchio tirava dalla sua parte. L'acqua era fredda come il ghiaccio. Nick sciacquò il secchio e lo portò, pieno, al campo. Lontano dalla sponda faceva meno freddo.

Nick piantò un altro grosso chiodo e vi appese il secchio pieno d'acqua. Vi tuffò la caffettiera, riempiendola a metà, aggiunse un po' di legna sotto la graticola e mise sul fuoco la caffettiera. Non ricordava come si facesse il caffè. Ricordava una discussione con Hopkins, su questo argomento, ma non che posizione avesse preso.

Decise di farla bollire. Poi gli venne in mente che quello era il sistema di Hopkins. Una volta, con Hopkins, aveva discusso di tutto.

Mentre aspettava che il caffè bollisse, aprì una scatoletta di albicocche. Gli piaceva aprire scatolette. Vuotò la scatoletta di albicocche in una tazza di stagno. Mentre sorvegliava il caffè sul fuoco, bevve il succo sciroppato delle albicocche, con cura, prima, per non rovesciarlo, poi pensierosamente, mangiando le albicocche.

Erano meglio delle albicocche fresche.

Mentre lo teneva d'occhio, il caffè cominciò a bollire. Il coperchio si alzò e il caffè e i fondi di caffè traboccarono dalla caffettiera. Nick la tolse dalla graticola. Per Hopkins era un trionfo. Nick mise lo zucchero nella tazza che aveva contenuto le albicocche e vi versò un po' di caffè per raffreddarlo. Era troppo caldo per poterlo versare e allora, per non scottarsi le dita sul manico della caffettiera, Nick usò il cappello. Non voleva lasciarlo macerare nella caffettiera. La prima tazza, almeno. Doveva essere, dall'inizio alla fine, puro Hopkins. Hop se lo meritava. Era un serissimo bevitore di caffè. Era l'uomo più serio che Nick avesse mai conosciuto. Non pesante, serio. Era successo tanto tempo prima.

Hopkins parlava senza muovere le labbra. Aveva giocato a polo.

Guadagnò milioni di dollari nel Texas. Si era fatto prestare i soldi per andare in macchina a Chicago, quando era arrivato il telegramma con la notizia che il suo primo pozzo aveva trovato il petrolio.

Avrebbe potuto telegrafare per farsi mandare i soldi. Ma ci sarebbe voluto troppo tempo. Chiamavano la sua ragazza la Venere Bionda. Hop non ci badava perché non era la sua vera ragazza. Hopkins diceva, molto baldanzosamente, che nessuno di loro avrebbe preso in giro la sua vera ragazza. Aveva ragione. Hopkins se ne andò quando arrivò il telegramma. Questo accadde sul Black River. Otto giorni, ci vollero, perché gli arrivasse il telegramma. Hopkins regalò a Nick la sua pistola automatica Colt calibro 22. Diede la macchina fotografica a Bill. Perché si ricordassero sempre di lui. L'estate dopo sarebbero tornati a pescare tutti insieme. Il giacimento di Hop era ricco. Hop avrebbe comprato uno yacht e sarebbero andati in crociera tutti insieme lungo la riva settentrionale del lago Superiore. Era elettrizzato ma serio. Si salutarono e tutti erano tristi. Quella notizia rovinò la gita. Hopkins non lo videro mai più. Questo fu sul Black River, tanto tempo fa.

Nick bevve il caffè, il caffè secondo Hopkins. Il caffè era amaro.

Nick rise. Era un buon finale per la storia. La sua mente cominciava a lavorare. Nick sapeva di poterla imbavagliare, perché era abbastanza stanco. Vuotò la caffettiera e la scosse per gettare i fondi sul fuoco. Accese una sigaretta ed entrò nella tenda. Si tolse le scarpe e i calzoni, seduto sulle coperte, arrotolò le scarpe nei calzoni per farsi un cuscino e s'infilò tra le coperte.

Fuori, attraverso l'imboccatura della tenda, vedeva i bagliori del fuoco, quando la brezza notturna lo ravvivava. Era una notte silenziosa. Un silenzio assoluto gravava sulla palude. Nick si allungò comodamente sotto la coperta. Una zanzara gli ronzò vicino all'orecchio. Nick si mise a sedere e accese un fiammifero. La zanzara era posata sulla tela, sopra la sua testa. Nick, prontamente, le accostò il fiammifero. La zanzara, sulla fiamma, produsse un sibilo soddisfacente. Il fiammifero si spense. Nick tornò a distendersi sotto la coperta. Si girò sul fianco e chiuse gli occhi.

Aveva sonno. Sentiva il sonno arrivare. Si raggomitolò sotto la coperta e si addormentò.

 

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