Роман «Война и мир» (Guerra e Pace) на итальянском языке - читать онлайн |
Книга «Война и мир» (Guerra e Pace) на итальянском языке читать онлайн, автор романа – Лев Толстой. Это один из самых известных романов писателя, однако в старости сам Лев Толстой отзывался об этой своей книге весьма пренебрежительно (впрочем, в старости Лев Толстой много чего делал необычного, чем удивлял своих современников и потомков). Как бы там ни было, роман пользовался успехом не только в россии, но и в Европе, был переведён на многие языки мира, в том числе и на итальянский. В этой книге много фраз на французском языке – это всё авторские фразы, и они не переведены на итальянский (выделены курсивом). Такова была традиция в дворянском обществе России – говорить на французском, поэтому Лев Толстой даже в таком моменте, как речь главных героев, был максимально реалистичным. На этой странице выложены первые 3 главы романа «Война и мир» (Guerra e Pace) на итальянском языке, в конце страницы будет ссылка на продолжение книги. Другие произведения мировой литературы можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском языке». Для тех, кто изучает итальянский язык по фильмам и видеоурокам, есть раздел, который так и называется - «Фильмы и видеоуроки на итальянском языке». Кого интересует изучение итальянского языка с преподавателем, подробную информацию можно почитать на странице «Итальянский по скайпу».
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Guerra e Pace
LIBRO PRIMO
PARTE PRIMA
I. «Eh bien, mon prince, Gênes et Lucques ne sont plus que des apanages, proprietà de la famille Buonaparte. Non, je vous préviens, que si vous ne me dites pas que nous avons la guerre, si vous vous permettez encore de pallier toutes les infamies, toutes les atrocités de cet Antichrist (ma parole, j’y crois), je ne vous connais plus, vous n’êtes plus mon ami, vous n’êtes plus il mio fedelissimo servitore, comme vous dites. Ma benvenuto, benvenuto. Je vois que je vous fais peur, sedetevi e raccontate.» Così diceva nel luglio del 1805 la ben nota Anna Pavlovna Šerer, damigella d’onore e amica personale dell’imperatrice Mar’ja Feodorovna, accogliendo il grave e altolocato principe Vasilij, che era arrivato per primo al suo ricevimento. Da molti giorni Anna Pavlovna tossiva; aveva la grippe, come diceva lei, (grippe era allora una parola nuova, usata soltanto da pochi). Nei biglietti d’invito, mandati la mattina per mezzo di un lacchè in livrea rossa, era scritto, senza alcuna variante: «Si vous n’avez rien de mieux à faire, Monsieur le comte (oppure mon prince), et si la perspective de passer la soirée chez une pauvre malade ne vous effraye pas trop, je serai charmée de vous voir chez moi entre 7 et 10 heures. Annette Šerer.» - Dieu, quelle virulente sortie! - rispose, per nulla confuso da una simile accoglienza, e con un’espressione raggiante sulla sua faccia piatta, il principe che era appena entrato in uniforme di corte ricamata, calze, scarpine e decorazioni. Egli si esprimeva in quel francese ricercato che usavano i nostri uomini non solo per parlare, ma anche per pensare: con quelle intonazioni pacate e come protettrici proprie dell’uomo importante abituato ai modi del gran mondo e della corte. Si avvicinò ad Anna Pavlovna, le baciò la mano, sporgendo verso di lei la testa calva, lucida e profumata, e sedette tranquillamente sul divano. - Avant tout dites-moi, comment vous allez, chère amie? Tranquillizzatemi, - disse, senza cambiar voce e con un tono che dietro un compito interessamento, lasciava trasparire l’indifferenza e persino una certa ironia. - Come si può star bene… quando si soffre moralmente? Se si ha una certa sensibilità com’è possibile mantenersi calmi, in tempi come questi? - esclamò Anna Pavlovna. - Passerete l’intera serata da me, voglio sperare… - E il ricevimento dell’ambasciatore d’Inghilterra? Oggi è mercoledì. Bisogna che mi faccia vedere, - disse il principe. - -- Mia, figlia verrà a prendermi e andremo insieme. - Credevo che il ricevimento di oggi fosse stato rinviato. Je vous avoue que toutes ces fêtes et tous ces feux d’artifice commencent à devenir insipides. - Se avessero saputo che lo desideravate, l’avrebbero rinviato, - rispose il principe, dicendo per abitudine, come un orologio caricato, cose che non pretendeva venissero credute. - Ne me tourmentez pas. Eh bien, qu’a-t-on décidé par rapport à la dépêche de Novosilzoff? Vous savez tout. - Cosa posso dirvi? - rispose il principe in tono freddo e annoiato. -Qu’a-t-on décidé? On a décidé que Buonaparte a brûlé ses vaisseaux et je crois que nous sommes en train de brûler les nôtres. Il principe Vasilij parlava sempre con voce pigra, come un attore che reciti una parte in una vecchia commedia. Al contrario Anna Pavlovna Šerer, nonostante i suoi quarant’anni, era piena di vivacità e di entusiasmi. Fare l’entusiasta era ormai diventato, per lei, un modo di essere sociale, e a volte, per non deludere le aspettative di chi la conosceva, si mostrava entusiasta anche quando non ne aveva voglia. Il sorvegliato sorriso che aleggiava di continuo sulle labbra di Anna Pavlovna, sebbene non s’intonasse al suo viso sfiorito, esprimeva tuttavia, come nei bambini viziati, la costante consapevolezza del proprio grazioso difetto, un difetto del quale lei non sapeva né voleva correggersi, né del resto lo reputava necessario. Nel bel mezzo di quella conversazione sugli avvenimenti politici Anna Pavlovna si accalorò. - Ah, non parlatemi dell’Austria! Io non capirò nulla, forse, ma l’Austria non ha voluto e non vuole la guerra. L’Austria ci tradisce. La Russia soltanto dovrà essere la salvezza dell’Europa. Il nostro benefattore sa quale sia la sua alta missione e vi resterà fedele. Ecco l’unica cosa in cui credo. Al nostro meraviglioso e buon sovrano spetta il compito più alto e sublime del mondo; egli è così virtuoso e buono che Dio non lo abbandonerà, e così assolverà alla missione di schiacciare l’idea della rivoluzione, che adesso rivive più orrida che mai nella persona di quell’assassino criminale. Noi soli dobbiamo espiare il sangue del giusto. In chi dovremmo sperare, domando io? L’Inghilterra, con il suo spirito commerciale, non capirà, non può capire tutta la grandezza d’animo dell’imperatore Alessandro. Essa ha rifiutato di evacuare Malta. Vuole vederci chiaro, cerca Farrière-pensée delle nostre azioni. Che cosa hanno detto a Novosil’cev? Niente. Non hanno capito, non possono capire l’abnegazione del nostro imperatore, che non vuole nulla per sé e vuole tutto per il bene del mondo. E che cos’hanno promesso? Nulla. E anche se avessero promesso qualcosa, non lo faranno. La Prussia, poi, ha già dichiarato che Buonaparte è invincibile e che l’Europa intera non può nulla contro di lui… E io non credo nemmeno a una parola di Hardenberg, e di Haugwitz. Cette fameuse neutralité prussienne, ce n’est qu’un piège. Io credo soltanto in Dio e nell’alto destino del nostro amato imperatore. Lui salverà l’Europa!… E qui d’improvviso s’interruppe, con un sorriso d’ironia per la stessa foga con la quale si era espressa. - Penso, - disse sorridendo il principe, -che se vi avessero mandata al posto del nostro caro Wintzingerode, avreste ottenuto l’immediato consenso del re di Prussia. Siete così eloquente. Potrei avere una tazza di tè? - Subito. A propos, - aggiunse Anna Pavlovna, che aveva ritrovato un tono tranquillo, -oggi da me ci saranno due persone molto interessanti: le vicomte de Mortemart il est allié aux Montmorency par les Rohans, una delle più grandi famiglie di Francia. È un emigrato di quelli buoni, degni di tale nome. E poi l’abbé Morio; conoscete questo intelletto d’eccezione? È stato ricevuto dal sovrano. Lo conoscete? - Ah! Sarò lietissimo di conoscerlo, - disse il principe. -Dite, - soggiunse poi, come avesse ricordato qualcosa all’improvviso, e parlando in un tono di particolare noncuranza, mentre invece ciò che stava per chiedere era la ragione principale della sua visita, -è vero che l’impératrice-mère desidera la nomina del barone Funke a primo segretario a Vienna? - C’est un pauvre sire, ce baron, à ce qu’il parait. Il principe Vasilij desiderava collocare suo figlio in quel posto che altri invece, attraverso l’imperatrice Mar’ja Feodorovna, volevano far assegnare al barone. Anna Pavlovna socchiuse gli occhi, a significare che né lei né altri poteva sindacare su ciò che era gradito o piacesse all’imperatrice. - Monsieur le baron de Funke a été reccommandé à l’impératrice-mère par sa soeur, - disse soltanto, con aria mesta e riservata. E nel momento in cui Anna Pavlovna nominò l’imperatrice, il suo volto assunse tosto una sincera e profonda espressione di devozione e rispetto, soffusa di mestizia, cosa che le succedeva ogni qual volta nel corso di una conversazione le accadeva di menzionare la sua augusta protettrice. Aggiunse poi che sua maestà si era degnata di mostrare al barone Funke beaucoup d’estime, e di nuovo il suo sguardo si velò di mestizia. Il principe tacque, impassibile. Anna Pavlovna, con la cortigianesca e femminile duttilità e con il tatto che le erano propri, volle castigare il principe, per aver osato esprimersi in quel modo sul conto di una persona raccomandata all’imperatrice, e allo stesso tempo consolarlo un poco. - Mais à propos de votre famille, - disse, -sapete che vostra figlia, da quando frequenta la società, fait les délices de tout le monde? On la trouve belle comme le jour. Il principe chinò lievemente il capo, in segno di apprezzamento e di riconoscenza. - Spesso mi accade di pensare, - proseguì Anna Pavlovna dopo un momento di silenzio, facendosi più vicino al principe e sorridendogli garbatamente, quasi a mostrare che i discorsi d’argomento politico e mondano erano terminati e adesso cominciava una conversazione più intima e cordiale, -spesso mi accade di pensare a come talvolta sia ingiustamente distribuita la felicità, in questa vita. Perché mai il destino vi avrà dato due così bravi figlioli (escluso Anatol’, il vostro minore, che non mi piace), - precisò con tono inappellabile, inarcando le sopracciglia, -due figlioli così ammirevoli! Voi, invece, li apprezzate meno di ogni altro; per questo non ve li meritate… E Anna Pavlovna sorrise del suo sorriso estatico. - Que voulez-vous? Lafater aurait dit que je n’ais pas la bosse de la paternité, - rispose il principe. - Suvvia, non scherzate. Io intendevo parlarvi seriamente. Sapete, sono scontenta del vostro figlio più piccolo. Sia detto fra noi,» e il suo volto riacquistò quell’espressione contrita, -di lui s’è fatto cenno anche al cospetto di sua maestà e hanno avuto per voi parole di compatimento… Il principe non rispose, ma lei attendeva in silenzio una risposta, guardandolo in modo significativo. Il principe Vasilij aggrottò la fronte. - Che cosa posso farci? - disse alla fine. -Voi lo sapete, per la loro educazione ho fatto tutto ciò che un padre può fare e invece sono riusciti des imbéciles. Ippolit, per lo meno, è un imbecille tranquillo, mentre Anatol’ è un imbecille irrequieto. La differenza è tutta qui! - esclamò, sorridendo in modo più innaturale e accentuato del solito e mettendo così chiaramente in mostra, nelle rughe che gli si formarono attorno alla bocca, qualcosa di volgare, di una sgradevolezza imprevedibile. - Ma allora perché mai nascono figli a persone come voi? Se non foste padre, non avrei proprio nulla di cui rimproverarvi, - disse Anna Pavlovna, sollevando gli occhi con aria pensosa. - Sono il vostro fedelissimo servitore, et à vous seule je puis l’avouer. I miei figli ce sont les entraves de mon existence. Questa è la mia croce. Io mi spiego la cosa così. Que voulez-vous? E il principe tacque, esprimendo con un gesto la sua sottomissione a un destino crudele. Anna Pavlovna si fece pensierosa. - Non avete mai pensato di ammogliare Anatol’, il vostro figliol prodigo? Si dice, - continuò, -che le vecchie zitelle ont la manie des mariages. A me non pare di avere questa debolezza, ma avrei una petite personne, che è molto infelice con suo padre, une parente à nous, une princesse Bolkonskaja. Il principe Vasilij non rispose, ma, con la rapidità di giudizio e la pronta disposizione a riporre certe cose nella mente, che è propria delle persone di mondo, mostrò con un cenno del capo di aver preso in considerazione quella notizia. - Sapete che Anatol’ mi costa quarantamila rubli all’anno? - proruppe, non riuscendo più a nascondere il triste corso dei suoi pensieri. Tacque un istante, poi continuò: - Che accadrà fra cinque anni se andremo avanti di questo passo? Voilà l’avantage d’être père. È ricca, la vostra principessa? - Il padre è molto ricco e molto avaro. Vive in campagna. Sapete, quel famoso principe Bolkonskij, messo a riposo già sotto il defunto imperatore, e soprannominato “il re di Prussia”. È un uomo molto intelligente, ma molto strano, il che rende difficile vivergli accanto. La pauvre petite est malheureuse comme les pierres. Ha un fratello, quello che poco tempo fa si è sposato con Lise Meinen, un aiutante di campo di Kutuzov. Stasera verrà qui da me. - Ecoutez, chère Annette,» disse il principe dopo aver preso la mano della sua interlocutrice e piegandola chissà perché verso il basso. «Arrangez-moi cette affaire et je suis votre fedelissimo servo à tout jamais. “Servo vostro,” come scrive il mio starosta nei suoi rapporti: con due erre. È di buona famiglia e ricca. Non mi occorre altro.» E con quei graziosi movimenti, disinvolti e familiari, che lo distinguevano, trasse a sé la mano della damigella, la baciò e, dopo averla baciata, la dondolò un poco tra le sue, abbandonandosi nella poltrona e posando lo sguardo di lato. - Attendez, - disse Anna Pavlovna, riflettendo. -Parlerò oggi stesso con Lise (la femme du jeune Bolkonskij). E può darsi che si riesca a combinare la cosa. Ce sera dans votre famille, que je ferai mon apprentissage de vieille fille.
II. Il salotto di Anna Pavlovna incominciava a poco a poco a riempirsi. Giungeva la più alta nobiltà di Pietroburgo: persone diversissime per età e per carattere, ma accomunate dall’appartenenza alla stessa classe sociale. Arrivò la figlia del principe Vasilij, la bellissima Hélène: era venuta a prendere suo padre per andare con lui alla festa dell’ambasciatore. Era in abito da ballo, con le cifre dell’imperatrice. E venne anche colei che era nota come la femme la plus séduisante de Pétersbourg, la giovane principessina Bolkonskaja, che l’inverno prima si era sposata e ora non compariva più nel gran mondo a causa della sua gravidanza, ma interveniva ancora ai piccoli ricevimenti. Venne il principe Ippolit, figlio del principe Vasilij, insieme con Mortemart, che egli presentava; venne l’abate Morio e vennero molti altri. - Voi non avete ancora visto, - oppure -Voi non conoscete ma tante? - diceva Anna Pavlovna a mano a mano che sopraggiungevano gli invitati e molto gravemente li conduceva da una vecchietta minuta, piena di nastri annodati alti sul capo, che era sbucata da un’altra stanza non appena gli ospiti avevano cominciato ad arrivare. Faceva il loro nome spostando lentamente gli occhi dall’invitato su ma tante e quindi si allontanava. Tutti gli invitati assolvevano il rito del saluto alla vecchia zia, che nessuno conosceva e che a nessuno interessava, e di cui nessuno sapeva che fare. Con un’espressione triste e solenne Anna Pavlovna seguiva quei saluti approvando in silenzio. A ognuno ma tante parlava, usando sempre le stesse espressioni, della salute di lui, della salute propria e della salute di sua maestà l’imperatrice che ora, grazie a Dio, andava meglio. Tutti quelli che le si erano accostati, e che per educazione non mostravano fretta, si allontanavano poi dalla vecchia signora col senso di sollievo che dà l’avvenuto adempimento di un penoso dovere, e non le si avvicinavano più per tutta la serata. La giovane principessina Bolkonskaja era venuta con un lavoro di cucito dentro una borsa di velluto ricamata in oro. Il suo grazioso labbro superiore appena ombreggiato da una leggera peluria, era un po’ corto rispetto alla dentatura, ma ancor più vezzosamente si schiudeva, e in modo ancor più vezzoso si protendeva talvolta in avanti o si abbassava sul labbro inferiore. Come succede alle donne veramente attraenti, il suo difetto – quel labbro troppo corto e la bocca dischiusa – acquistava una grazia speciale, tutta sua. Piaceva a tutti guardare quella graziosa futura madre, piena di salute e di vivacità, che sopportava con tanta disinvoltura il proprio stato. I vecchi e i giovanotti annoiati avevano l’impressione di diventare un po’ come lei standole accanto e parlandole anche solo per un poco. Chi parlava con lei, e ad ogni parola vedeva il suo sorriso luminoso e i bianchi denti scintillanti, sempre visibili, si sentiva quel giorno in uno stato di grazia particolare. Ed era una sensazione che tutti condividevano. La principessina a passi brevi e rapidi fece il giro del tavolo con la borsa da lavoro al braccio e, accomodandosi con leggiadria il vestito, sedette sul divano accanto al samovar d’argento come se tutto ciò che faceva fosse stato une partie de plaisir per lei e per tutti coloro che la circondavano. - J’ai apporté mon ouvrage, - disse, slacciando il suo ridicule e rivolgendosi a tutti insieme. - Badate, Annette, ne me jouez pas un mauvais tour, - aggiunse poi, rivolta alla padrona di casa. -Vous m’avez écrit que c’était une toute petite soirée; voyez comme je suis attifée . E allargò le braccia per mostrare il suo elegante abito grigio, adorno di merletti, cinto da un largo nastro appena sotto il seno. - Soyez tranquille, Lise, vous serez toujours la plus jolie. Rispose Anna Pavlovna. - Vous savez, mon mari m’abandonne, - proseguì l’altra con lo stesso tono, rivolgendosi a un generale. -Il va se faire tuer. Dites-moi, pourquoi cette vilaine guerre? - disse poi al principe Vasilij, e senza aspettare la risposta, si rivolse alla figlia del principe Vasilij, la bellissima Hélène. - Quelle délicieuse personne, que cette petite princesse! - disse piano il principe Vasilij ad Anna Pavlovna. Poco dopo la principessina entrò un giovane grasso e massiccio con la testa rasata e gli occhiali. Indossava, secondo la moda del momento, pantaloni chiari, un alto jabot e un frac marrone. Questo giovanotto grasso era il figlio illegittimo d’un illustre dignitario del tempo di Caterina, il conte Bezuchov, che attualmente era a Mosca, moribondo. Non aveva ancora prestato servizio in nessun pubblico impiego, essendo appena tornato dall’estero dove aveva perfezionato la sua istruzione, ed era la prima volta che appariva in società. Anna Pavlovna lo salutò col cenno del capo che riservava alle persone di più bassa gerarchia nel suo salotto. Ma nonostante questo saluto di categoria inferiore, vedendo Pierre che entrava il volto di Anna Pavlovna assunse un’espressione di inquietudine e di timore, simile a quello che si adotta alla vista di qualcosa di troppo enorme e sproporzionato al luogo. Sebbene Pierre fosse assai più grosso degli altri uomini presenti, questa paura poteva riferirsi soltanto allo sguardo intelligente e nel contempo timido, spontaneo e indagatore, che in quel salotto valeva a distinguerlo da tutti. - C’est bien aimable à vous, “monsieur Pierre”, d’être venu voir une pauvre malade, - gli disse Anna Pavlovna, scambiando uno sguardo spaventato con la zietta verso la quale l’aveva accompagnato. Pierre farfugliò qualche parola incomprensibile e continuò a cercare qualcosa con gli occhi. Sorrise di gioia e di sollievo, inchinandosi alla piccola principessa come a un’intima conoscente, e poi si avvicinò alla zietta. La paura di Anna Pavlovna non era senza motivo perché Pierre, incurante del discorso della zietta sulla salute di sua maestà, se ne allontanò subito. Spaventata, Anna Pavlovna lo fermò ricorrendo a una domanda: -Non conoscete l’abate Morio? È un uomo molto interessante… - Sì, ho sentito parlare del suo progetto di pace perpetua; è una cosa davvero interessante, ma difficilmente realizzabile… - Credete?… - rispose Anna Pavlovna tanto per dire qualcosa e ritornare ai suoi doveri di padrona di casa, ma ora Pierre commise una scortesia in senso inverso. Prima se n’era andato senza finir d’ascoltare le parole dell’interlocutrice, ora invece voleva trattenere con la sua conversazione un’interlocutrice che aveva bisogno di allontanarsi da lui. Piegando la testa in avanti, le sue grosse gambe piantate larghe sul pavimento, prese a dimostrare ad Anna Pavlovna perché, secondo lui, il piano dell’abate era una chimera. - Avremo modo di riparlarne, - disse sorridendo Anna Pavlovna. E, liberatasi di quel giovanotto che non sapeva stare al mondo, ritornò ai suoi doveri di padrona di casa, continuando a tendere l’orecchio e ad aguzzare la vista, pronta a porgere aiuto là dove la conversazione languiva. Come il padrone d’una filanda, sistemati gli operai ai loro posti, si aggira per l’azienda, e, notando un arresto o il rumore insolito, stridente o troppo forte d’un fuso, s’affretta ad avvicinarsi, lo ferma o gli ridà il dovuto movimento, così Anna Pavlovna, aggirandosi per il suo salotto, si avvicinava a un gruppo che taceva o che parlava troppo e, con una parola o uno spostamento ripristinava il regolare meccanismo della conversazione. Ma, pur in mezzo a queste cure, era chiaro che non aveva smesso di nutrire i suoi timori nei confronti di Pierre. Lo guardava preoccupata, mentre lui si avvicinava per ascoltare ciò che si diceva intorno a Mortemart, oppure si dirigeva verso un altro gruppo, ove parlava l’abate. Per Pierre, educato all’estero, questa serata da Anna Pavlovna era la prima del genere che vedesse in Russia. Sapeva che in quel salotto erano raccolti i migliori intellettuali di Pietroburgo e sgranava gli occhi come un bambino in un negozio di giocattoli. Temeva di lasciarsi sfuggire un discorso intelligente che avrebbe potuto ascoltare. Guardando le espressioni sicure e raffinate delle persone lì riunite si aspettava sempre di udire qualcosa di molto acuto. Infine si avvicinò a Morio. La conversazione gli parve interessante e si fermò, attendendo l’occasione per esprimere le proprie idee, come piace ai giovani.
III. Il ricevimento di Anna Pavlovna era ormai avviato. I fusi ronzavano regolari e senza interruzione da tutte le parti. Eccetto ma tante, vicino alla quale sedeva soltanto un’anziana signora con la faccia magra e piagnucolosa, un poco stonata in quella società brillante, la compagnia si era divisa in tre gruppi. Di uno, formato per lo più da uomini, era centro l’abate; di un altro, giovanile, la bellissima principessa Hélène, la figlia del principe Vasilij, e la graziosa principessina Bolkonskaja, rossa in viso, un po’ troppo grassa per la sua età; del terzo, Mortemart e Anna Pavlovna. Il visconte era un giovane di bell’aspetto, dolce di tratto e di lineamenti, che evidentemente si considerava una celebrità, ma per buona educazione lasciava con modestia che la società in cui si trovava godesse della sua presenza. Era chiaro che Anna Pavlovna lo offriva in dono ai suoi invitati. Come un buon maître d’hôtel sa servire come cosa sopraffina un pezzo di bollito che non verrebbe voglia di mangiare vedendolo in una cucina sudicia, così quella sera Anna Pavlovna serviva ai suoi invitati prima il visconte e poi l’abate, come qualcosa di altamente raffinato. Nella cerchia di Mortemart il discorso non aveva tardato a cadere sull’uccisione del duca d’Enghien. Il visconte diceva che il duca d’Enghien era morto a causa della sua grandezza d’animo e che l’accanimento di Buonaparte contro di lui nascondeva motivi particolari. - Ah! voyons. Contez-nous cela, vicomte, - disse Anna Pavlovna, sentendo con gioia che era echeggiato qualcosa à la Louis XV in questa sua frase «contez-nous cela, vicomte». Il visconte fece un inchino in segno di sottomissione e sorrise con ossequio. Anna Pavlovna formò una cerchia intorno al visconte e invitò tutti ad ascoltare il suo racconto. - Le vicomte a été personellement connu de monseigneur, - mormorò Anna Pavlovna ad uno. - Le vicomte est un parfait conteur, - disse a un altro. -Comme on voi l’homme de la bonne compagnie, - disse a un terzo; e il visconte venne ammannito alla società nella luce migliore e per lui più vantaggiosa, come un pezzo di roast-beef su un piatto caldo guarnito di verdure. Il visconte stava per cominciare il suo racconto ed ebbe un fine sorriso. - Venite qui, chère Hélène, - disse Anna Pavlovna alla bella principessina, che sedeva un poco in disparte al centro di un altro gruppo. La principessina Hélène sorrise; poi si alzò con lo stesso immutabile sorriso di donna dalla bellezza perfetta col quale era entrata nel salotto. Frusciando leggermente con la sua robe bianca da ballo, guarnita di peluche e di duvet, e scintillando col biancore delle spalle, col fulgore dei capelli e dei brillanti, passò fra gli uomini che le facevano largo e si diresse verso Anna Pavlovna senza guardare nessuno ma sorridendo a tutti, come concedendo gentilmente a ognuno il diritto di ammirare la bellezza della sua figura, delle spalle piene, del dorso e del seno molto scoperto secondo la moda d’allora, quasi recando in sé uno splendore di ballo. Hélène era così bella che non solo non si notava in lei neppure un’ombra di civetteria, ma, al contrario, sembrava quasi che si vergognasse di quella bellezza inoppugnabile che irraggiava da lei in maniera troppo clamorosa e trionfante. - Quelle belle personne! - diceva chiunque la vedesse. Come colpito da qualcosa di straordinario, il visconte strinse le spalle e abbassò gli occhi mentre lei gli si sedeva davanti e illuminava anche lui di quel suo immutabile sorriso. - Madame, je crains pour mes moyens devant un pareil auditoire, - disse il visconte sorridendo e piegando la testa da un lato. La principessina appoggiò il suo braccio nudo e tornito al tavolino e non ritenne necessario dir qualcosa. Sorridendo, aspettava. Per tutto il tempo del racconto restò a sedere eretta, lanciando di tanto in tanto uno sguardo ora al proprio braccio tornito che posava con leggerezza sul tavolo, ora al seno ancor più bello, sul quale badava ad aggiustare il vezzo di brillanti; assestò varie volte le pieghe dell’abito e, quando il racconto produceva sensazione, si voltava a guardare Anna Pavlovna e tosto assumeva la stessa espressione che aleggiava sul volto della damigella d’onore per poi ricomporsi nel suo raggiante sorriso. Seguendo Hélène, si avvicinò anche la piccola principessina Bolkonskaja, lasciando il tavolino del tè. - Attendez-moi, je vais prendre mon ouvrage, - disse. -Voyons, à quoi pensez vous? - aggiunse poi, rivolta al principe Ippolit. -Apportez-moi mon ridicule. La principessina, sorridendo e parlando con tutti, causò un’improvvisa interruzione e, sedendosi, si accomodò l’abito con gesti vivaci. - Adesso sto bene, - disse e, chiedendo che si proseguisse, si accinse al suo lavoro. Il principe Ippolit le portò il ridicule, le passò alle spalle e, avvicinata una sedia, le si sedette accanto. Le charmant Hippolyte colpiva per la sua straordinaria somiglianza con la bellissima sorella, e ancor di più perché, nonostante questa somiglianza, era di una bruttezza singolare. I lineamenti del suo viso erano gli stessi della sorella, ma in lei tutto si illuminava di quel costante sorriso così pieno di gioia di vivere, così contento di sé, così fresco e giovane, e dalla statuaria, eccezionale bellezza del corpo. Nel fratello, al contrario, lo stesso viso era reso opaco dall’espressione idiota, e costantemente atteggiato a un presuntuoso malumore, mentre il corpo appariva gracile e floscio. Gli occhi, il naso, la bocca, tutto gli si contraeva in una sorta di vaga smorfia annoiata, mentre le braccia e le gambe assumevano sempre una posizione innaturale. - Ce n’est pas une histoire de revenants? - disse lui, dopo essersi seduto accanto alla principessina e aver frettolosamente applicato agli occhi la lorgnette, come se non potesse cominciare a parlare senza prima ricorrere a quell’oggetto. - Mais non, mon cher, - disse stupito il narratore, stringendosi nelle spalle. - C’est que je déteste les histoires de revenants, - disse il principe Ippolit; e dal suo tono si capì che prima aveva pronunciato quelle parole e poi ne aveva compreso il significato. A causa della presunzione con la quale parlava nessuno comprese se ciò che aveva detto fosse molto intelligente oppure molto stupido. Indossava un frac verde scuro, pantaloni color cuisse de nymphe effrayée – come diceva lui – calze e scarpine. Il vicomte raccontò con molto garbo un aneddoto che allora circolava, secondo il quale il duca d’Enghien sarebbe andato segretamente a Parigi per un abboccamento con M.lle George, e là si sarebbe imbattuto nel Bonaparte, il quale godeva del pari le grazie della famosa attrice; Napoleone, trovatosi di fronte il duca, aveva avuto uno di quegli svenimenti ai quali andava soggetto, ed era così rimasto a discrezione del duca, senza che questi ne approfittasse; in seguito, però, Bonaparte si era vendicato di tanta magnanimità mandando a morte il duca. Il racconto era molto emozionante, specie nel punto in cui i due rivali si riconoscevano, e, a quanto pareva, le signore ne furono scosse. - Charmant, - disse Anna Pavlovna, voltandosi a guardare con aria interrogativa la piccola principessina. - Charmant, - mormorò la giovane principessina, infilando l’ago nel ricamo, come a significare che l’interesse e il fascino di quel racconto le impedivano di continuare il suo lavoro. Il visconte apprezzò questa tacita lode, e con un sorriso di gratitudine si accinse a proseguire; ma in quel momento Anna Pavlovna, non avendo desistito dal tenere d’occhio il giovanotto che tanto la preoccupava, notò che Pierre parlava all’abate con troppo calore e a voce troppo alta e si affrettò ad accorrere nel luogo del pericolo. In effetti Pierre era riuscito ad annodare con l’abate una conversazione sull’equilibrio delle forze politiche, e l’abate, palesemente interessato dall’ingenuo fervore del giovane, s’era messo a sviluppare di fronte a lui la sua idea prediletta. Entrambi parlavano e si ascoltavano con troppa animazione e troppa naturalezza e questo, appunto, non piaceva ad Anna Pavlovna. - C’è un unico mezzo: l’equilibrio europeo e le droit des gens, - diceva l’abate. –Basterebbe che un solo stato potente come la Russia, che pure passa comunemente per barbaro, si mettesse disinteressatamente alla testa di un’alleanza volta a conseguire l’equilibrio dell’Europa, ed essa salverebbe il mondo intero! - Ma come farete a raggiungere questo equilibrio?» stava per cominciare Pierre. Ma in quel momento si avvicinò Anna Pavlovna, e dopo aver gettato un’occhiata severa a Pierre, domandò all’italiano come sopportasse il clima di Pietroburgo. Il volto dell’italiano mutò di colpo e assunse un’espressione offensivamente ipocrita, che evidentemente gli era abituale quando discorreva con le donne. - Sono così conquistato dall’ammaliante profusione d’ingegno e di distinzione di questa società – e in particolar modo di quella femminile – nella quale ho avuto l’onore di essere accolto, che ancora non ho avuto il tempo di pensare al clima, - fu la sua risposta. Decisa a non abbandonare più l’abate e Pierre a loro stessi, per tenerli meglio d’occhio Anna Pavlovna li aggregò alla cerchia generale. In quel momento entrò nel salotto un nuovo personaggio. Era costui il giovane principe Andrej Bolkonskij, marito della piccola principessina. Il principe Bolkonskij era un giovane di non alta statura, ma assai bello, d’aspetto elegante e armonioso, i lineamenti fini e marcati. Tutto nella sua figura, dalla stanchezza annoiata dello sguardo al passo tranquillo e misurato, produceva il più netto contrasto con la sua piccola moglie così vivace. Era evidente che tutte le persone presenti non solo gli erano note, ma lo avevano già a tal punto annoiato, che solo il vederli e ascoltarli lo annoiava terribilmente. Di tutte le facce che gli erano venute a noia quella della sua graziosa moglie pareva averlo annoiato più di ogni altra. Ne distolse infatti lo sguardo con una smorfia che guastava il suo bel viso, baciò la mano di Anna Pavlovna e, socchiudendo gli occhi, esaminò l’intera compagnia dei presenti. - Vous vous enrôlez pour la guerre, mon prince? - disse Anna Pavlovna. - Le général Koutouzoff, - disse Bolkonskij facendo cadere l’accento sull’ultima sillaba, alla francese, -a bien voulu de moi pour aide-de-camp… - Et Lise, votre femme? - Andrà in campagna. - Non sentite rimorso a privarci della vostra incantevole moglie? - André, - disse sua moglie, rivolgendosi al marito con lo stesso tono civettuolo con cui si rivolgeva anche agli estranei, «che storia ci ha raccontato il visconte su M.lle George e Bonaparte!» Il principe Andrej aggrottò la fronte e si voltò dall’altra parte. Pierre, che da quando il principe Andrej era entrato nel salotto non ne aveva più distolto gli occhi pieni di gioia e d’amicizia, gli si accostò e lo prese per un braccio. Senza voltarsi, il principe Andrej corrugò il viso in una smorfia che esprimeva stizza nei confronti di colui che gli toccava il braccio, ma, quando vide il volto sorridente di Pierre, sorrise anche lui di un sorriso inaspettatamente buono e simpatico. - Oh, guarda!… Anche tu nel gran mondo! - disse a Pierre. - Sapevo che voi dovevate venire, - rispose Pierre. -Verrò a cena a casa vostra, - aggiunse piano per non disturbare il visconte che continuava il suo racconto. -Posso? - No, non potete, - rispose il principe Andrej ridendo, mentre con una stretta della mano lasciava capire a Pierre che non c’era bisogno di domandare una cosa simile. Avrebbe voluto dire qualcos’altro, ma in quel momento il principe Vasilij e la figlia si levarono in piedi e i due uomini si alzarono per fare largo. - Mi scuserete, mio caro visconte, - disse il principe Vasilij al francese, prendendogli una manica e tirandola affabilmente verso il basso perché non si alzasse. -Questa disgraziata festa dell’ambasciatore interrompe voi e priva me di un vero piacere. Sono davvero costernato di dover abbandonare la vostra deliziosa serata, - disse poi, rivolto ad Anna Pavlovna. Sua figlia, la principessina Hélène, sorreggendo appena le pieghe dell’abito, si inoltrò fra le sedie, mentre il sorriso splendeva ancora più luminoso sul suo volto stupendo. Quando lei gli passò accanto, Pierre guardò quella bellezza con occhi rapiti e ammirati. - Molto bella, - disse il principe Andrej. - Molto, - disse Pierre. Passandogli accanto, il principe Vasilij afferrò Pierre per un braccio e si rivolse ad Anna Pavlovna: -Dirozzatemi quest’orso, - disse. -È già un mese, sapete, che è in casa mia, ed è la prima volta che lo vedo in società. Niente è più utile a un giovane della compagnia di donne intelligenti.
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