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Книга «Приключения Тома Сойера» (Le avventure di Tom Sawyer) на итальянском языке

«Приключения Тома Сойера» (Le avventure di Tom Sawyer) на итальянском языке читать онлайн, автор книги – Марк Твен. Повесть «Приключения Тома Сойера» Марк Твен написал в 1876-м году, уже будучи достаточно известным американским писателем. В основу сюжета легли воспоминания из детства самого писателя, когда он, будучи ещё маленьким мальчиком по имени Сэмюэл Клеменс (Марк Твен – его литературный псевдоним), жил в городке Ханнибал (штат Миссури). «Приключения Тома Сойера» - не самое значимое произведение Марка Твена (более серьёзным считается «Приключения Гекльберри Финна»), однако одно из самых известных во всём мире. Книга «Приключения Тома Сойера» была впоследствии переведена на многие языки мира (в том числе и на итальянский), причём есть много вариантов переводов даже в одном языке, что лишь подтверждает популярность повести среди читателей.

 

В этой статье выложены первые 3 главы повести Марка Твена «Приключения Тома Сойера» (Le avventure di Tom Sawyer) на итальянском языке. В конце страницы будет ссылка на продолжение.

 

Другую литературу на итальянском языке можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском».

Для тех, кто планирует изучать итальянский язык с преподавателем, подробная информация есть на странице «Итальянский по скайпу».

  

Le avventure di Tom Sawyer

 

I.

 

- Tom!

Nessuna risposta.

- Tom!

Nessuna risposta.

- Che cosa sta combinando quel ragazzo? Vorrei proprio saperlo. Ehi, Tom!

L’anziana signora abbassò gli occhiali e, al di sopra di essi guardò intorno a sé nella stanza; poi li spinse di nuovo in su e guardò di sotto a essi. Di rado, o mai, guardava attraverso gli occhiali una cosa piccola come un ragazzetto, poiché quello era il suo paio di occhiali da parata, l’orgoglio del cuore di lei, occhiali fatti per “eleganza”, non per utilità; avrebbe potuto vederci altrettanto bene attraverso un paio di coperchi per stufe. Ora, per un momento, parve perplessa e disse, non minacciosamente, ma con una voce così forte da farsi sentire anche dai mobili: «Bene, se ti metto le mani addosso, io...»

Non completò la frase perché, nel frattempo, si era chinata e stava sferrando colpi con la scopa sotto il letto... e pertanto le occorreva fiato per ritmare i colpi stessi. Non riuscì a far risorgere altro che il gatto.

- Non ho mai conosciuto nessuno più scavezzacollo di quel ragazzo!

Si avvicinò alla porta aperta, rimase in piedi sulla soglia e guardò fuori, tra le piante di pomodoro e l’erba stramonio che costituivano l’orto. Niente Tom. Pertanto alzò ulteriormente la voce, a un angolo proporzionato alla distanza, e urlò:

- Ehi, tu-u-uu Tom!

Vi fu un lieve suono alle sue spalle e lei si girò giusto in tempo per afferrare un lembo della giacchetta del ragazzino e bloccarne la fuga.

- Preso! Avrei dovuto pensare a quell’armadio a muro. Che cosa ci stavi facendo, là dentro?

- Niente.

- Niente! Guarda in che stato hai le mani e la bocca. Cos’è quella roba?

- Non lo so, zia.

- Be’, lo so io. È marmellata, ecco che cos’è! Mille volte ti avrò detto che, se non ti fossi deciso a lasciare stare la marmellata, ti avrei scorticato vivo. Dammi la bacchetta.

La bacchetta rimase librata a mezz’aria. Il pericolo era gravissimo.

- Mamma mia! Guarda dietro di te, zietta!

L’anziana signora girò di scatto sui tacchi, sollevando al contempo, per prudenza, la gonna, e il ragazzo fuggì all’istante, si arrampicò su per l’alta recinzione di assi e scomparve al di là di essa. Zia Polly rimase immobile, sorpresa, per un momento, poi ridacchiò sommessamente.

«Diavolo di un ragazzo, possibile che io non riesca a imparare mai niente? Non me ne ha giocati abbastanza di tiri, ormai, perché debba stare in guardia? Ma i vecchi stolti sono i più grandi stolti che esistano. Il cane troppo avanti negli anni non impara niente, come si suol dire. Però, santo cielo, quel monello ne combina sempre di nuove ogni due giorni, e come può sapere, una povera creatura, che cosa l’aspetta? Tom sembra capire fino a qual punto può tormentarmi prima che perda la pazienza, e sa come farmi arrabbiare soltanto per un momento o farmi ridere, dopodiché tutto è passato e perdonato e non riesco a dargliele come merita. Non sto facendo il mio dovere, con quel ragazzo, e questa è la pura verità, Dio lo sa bene. Risparmia la verga e vizierai il bambino, come dice il buon libro. Sto preparando peccati e sofferenze per entrambi, me ne rendo conto. È un ragazzino indemoniato, ma, il Signore mi perdoni! è figlio della mia defunta sorella, povera creatura, e, non so come, non trovo il coraggio di dargli bacchettate. Ogni volta che lo perdono, la coscienza mi tormenta a non finire; e, ogni volta che lo punisco, per poco non mi si spezza questo vecchio cuore. Povera me, l’uomo che nasce da donna, già dopo pochi giorni è causa di molti guai, come dicono le Sacre Scritture; dev’essere proprio così. Marinerà la scuola e se ne andrà a zonzo come un fannullone, questo pomeriggio, e io, per punirlo, sarò costretta a farlo lavorare domani. È una crudeltà costringerlo a darsi da fare il sabato, quando tutti gli altri ragazzi hanno vacanza, ma lui odia il lavoro più di qualsiasi altra cosa, e bisognerà pure che io faccia almeno in parte il mio dovere, con quel benedetto bambino, altrimenti lo rovinerò.»

 

Tom andò effettivamente a zonzo, e se la spassò un mondo. Tornò a casa appena in tempo per aiutare Jim, il ragazzetto di colore, a segare la legna del giorno dopo e a spaccare la legna minuta prima di cena, o almeno arrivò in tempo per raccontare a Jim le sue avventure mentre Jim sbrigava i tre quarti del lavoro. Il fratello minore di Tom (o meglio il fratellastro), Sid, aveva già fatto la sua parte (raccattare le schegge) perché era un bambino tranquillo, non portato per le imprese avventurose e le marachelle.

Mentre Tom stava consumando la cena e rubava zucchero ogni qual volta se ne presentava l’occasione, zia Polly gli pose domande colme d’astuzia e molto profonde, in quanto voleva farlo cadere in trappola e indurlo a rivelazioni compromettenti. Come tante altre creature dal cuore semplice, aveva la vanità di credersi dotata di talento per la diplomazia tenebrosa e misteriosa, e si compiaceva di considerare meraviglie di estrema scaltrezza i suoi trucchetti più trasparenti. Disse, a un certo momento:

- Tom, faceva piuttosto caldo, a scuola, vero?

- Eh, sì.

- Faceva un caldo da matti, non è così?

- Sì.

- Non ti è venuto voglia di andare a fare una nuotata, Tom?

Un piccolo fremito di paura percorse Tom... un’ombra di sgradevole sospetto. Egli scrutò il viso di zia Polly, che però non gli rivelò un bel niente. Pertanto rispose:

- No, non direi... be’, non molto.

L’anziana signora portò avanti la mano, tastò la camicia di Tom e disse:

- Adesso non sei accaldato, però.

E si sentì molto lusingata essendo riuscita ad accertare che la camicia era asciutta senza lasciar capire a nessuno di aver avuto proprio questa intenzione. Ma, nonostante la sua astuzia, Tom sapeva ormai in quale direzione soffiasse il vento.

Pertanto, prevenne quella che sarebbe potuta essere la mossa successiva.

- Alcuni di noi si sono pompati acqua sulla testa... la mia è ancora umida. Senti?

Fu esasperante per zia Polly rendersi conto di avere trascurato quella prova indiziaria, lasciandosi sfuggire uno stratagemma. Poi ebbe una nuova ispirazione:

- Tom, non sarai stato costretto a strappare i punti del colletto della camicia, là dove io lo avevo cucito, per pomparti acqua sulla testa, vero? Sbottonati la giacchetta!

Il turbamento svanì dal viso di Tom. Egli si sbottonò la giacchetta. Il colletto della camicia era ben cucito.

«Uffa! Be’, meglio per te. Ero sicura che avessi marinato la scuola e fossi andato a nuotare. Ma devi avere imparato immagino, come la gatta del proverbio che ci ha lasciato lo zampino... ti sei comportato bene, questa volta.»

Era in parte risentita perché la sua sagacia aveva fallito, e in parte lieta perché Tom, per una volta tanto, dimostrava di saper essere ubbidiente.

Sidney, però, disse:

- Un momento, se non sbaglio gli avevi cucito il colletto con filo bianco, e questo filo è nero.

- Giusto, glielo avevo cucito con il filo bianco! Tom!

Ma Tom non stette ad aspettare il resto. Mentre correva fuori dalla porta, disse:

- Sid, ti pesterò, per questo!

Una volta al sicuro, esaminò i due lunghi aghi infilati nei risvolti della giacchetta, con un tratto di filo avvolto intorno a essi, filo bianco nel caso di un ago e filo nero nel caso dell’altro. Poi disse:

«Non se ne sarebbe mai accorta se non fosse stato per Sid. Accidenti, a volte cuce il colletto con il filo bianco e a volte con quello nero! Vorrei proprio che adoperasse sempre o l’uno o l’altro... non riesco a starci dietro. Ma una cosa è certa, gliele suonerò, a Sid, per quello che ha fatto. Mi venga la coda se non lo pesto!»

Non era il ragazzo modello del villaggio. Conosceva benissimo, però, il ragazzo modello, e lo odiava. Due minuti dopo, o anche meno, aveva dimenticato tutti i suoi guai. Non perché quei guai fossero per lui meno opprimenti e assillanti di quanto lo sono le difficoltà della vita per un adulto, ma soltanto perché una nuova e formidabile distrazione li scacciò momentaneamente dai suoi pensieri, né più né meno come le disgrazie di un uomo vengono dimenticate nell’entusiasmo di nuove imprese. Questa nuova distrazione consisteva in una apprezzatissima novità nel fischiare, appena imparata da un negro, e ora egli stava cercando di metterla in pratica indisturbato. La novità era un singolare gorgheggio tipo uccello, una sorta  di liquido trillo, prodotto toccando il palato con la punta della lingua a brevi intervalli nel bel mezzo della melodia. Il lettore, se è mai stato ragazzo, ricorda probabilmente come si fa. Diligenza e attenzione gli consentirono ben presto di scoprire il trucco per riuscirvi, e Tom si incamminò lungo la strada con la

bocca piena di armonia e l’anima colma di gratitudine. Si sentiva press’a poco come può sentirsi un astronomo che abbia appena scoperto un nuovo pianeta. Ma, senza dubbio, per quanto concerne l’intensità e la profondità di uno sconfinato piacere, a trovarsi in vantaggio era il ragazzo, e non l’astronomo.

I crepuscoli estivi erano lunghi. Non faceva ancora buio. Di lì a non molto, Tom smise di fischiare. Davanti a lui si trovava uno sconosciuto; un ragazzo un pochino più robusto di quanto egli fosse. Ogni nuovo venuto, di qualsiasi età e di entrambi i sessi, costituiva una novità favolosa nel misero e piccolo villaggio di St Petersburg. Questo ragazzo era ben vestito, per giunta; ben vestito in un giorno feriale. La cosa sembrava, né più né meno, stupefacente. Il berretto era molto elegante, la giacchetta di stoffa blu, attillata e abbottonata, sembrava nuova e inappuntabile, come i pantaloni. Aveva persino le scarpe, anche se era venerdì, e la cravatta, un pezzetto di nastro dal colore vivace. Aveva un’aria cittadina tale da far sì che Tom si rodesse il fegato. Quanto più Tom fissava quella meraviglia, quanto più arricciava il naso di fronte a tanta eleganza, tanto più miseri sembravano diventare i suoi panni. Nessuno dei due ragazzi parlava. Se l’uno si muoveva, l’altro faceva altrettanto... ma soltanto di lato, in circolo. E sempre restavano di fronte, fissandosi negli occhi continuamente. Infine, Tom disse:

- Posso dartene un fracco!

- Mi piacerebbe che ci provassi.

- Be’, posso farlo.

- E io dico che non puoi.

- Sì che posso.

- No, non puoi.

- Posso.

- Non puoi.

- Posso.

- No.

Un silenzio imbarazzante. Poi Tom disse:

- Come ti chiami?

- Questa è una cosa che non ti riguarda, forse.

- E invece posso fare in modo che mi riguardi, potrei scommetterci.

- Be’, perché non ci provi?

- Se lo dici ancora una volta ci provo.

- Lo ridico, lo ridico, lo ridico! Ecco fatto.

- Ah, credi di essere un furbone, vero? Potrei dartele con una mano legata dietro la schiena, se volessi.

- Be’, perché non me le dai? Lo dici di potermele dare.

- È quello che farò, se mi prendi in giro.

- Oh, sì... ho visto intere famiglie nei pasticci come te.

- Spiritoso! Credi di essere chissà chi, eh?

- Oh, che bel tipetto!

- Dovrai mandarlo giù, questo tipetto, anche se non ti piace. Ti sfido a toccarmi, perché chiunque osi farlo verrà conciato per le feste.

- Sei un bugiardo!

- E tu lo sei più di me!

- Ti batti soltanto a parole, ma non osi farlo sul serio.

- Oh, cammina... va’!

- Senti... se continui con queste fanfaronate, prendo un sasso e te lo picchio sulla testa.

- Oh, sicuro.

- Puoi starne certo.

- Be’, perché non lo fai, allora? Perché continui a dire che lo farai? Vuoi sapere perché non lo fai?  Perché hai paura.»

- Non ho paura.

- Sì che ce l’hai.

- Non ce l’ho.

- Ce l’hai.

Ancora un silenzio, con altri adocchiamenti, e altro girarsi attorno a vicenda. Di lì a non molto, vennero a trovarsi spalla contro spalla. Tom disse:

- Vattene di qui!

- Vattene tu!

- Non me ne andrò.

- Non me ne andrò nemmeno io.

E così rimasero, ognuno con un piede piazzato ad angolo, a mo’ di puntello, ognuno spingendo con tutte le sue forze, ed entrambi guardando l’altro con odio. Ma nessuno dei due riuscì a prevalere. Dopo aver spinto fino a essere entrambi sudati e accesi in faccia, si rilassarono tutti e due con guardinga cautela, e Tom disse:

- Sei un vigliacco e un cucciolo. Dirò di te al mio fratello maggiore, lui può dartele con il dito mignolo, e io farò in modo che te le dia, per giunta.

- Che m’importa del tuo fratello maggiore? Io ho un fratello che è più grosso di lui; non solo, ma può anche farlo volare al di là di quella staccionata (Entrambi i fratelli erano immaginari.)

- Questa è una balla.

- Il fatto che tu lo dica non vuol dire che lo è.

Tom tracciò una linea sulla polvere della strada con l’alluce e disse:

- Ti sfido a superare questa linea; fallo e ti pesto tanto che non riuscirai più a stare in piedi. Chiunque osi farlo la pagherà.

Il nuovo venuto oltrepassò subito la linea e disse:

- Avanti, hai detto che lo avresti fatto; vediamo adesso se lo farai!

- Ehi, non pestarmi i calli; faresti bene a stare attento.

- Be’, hai detto che lo avresti fatto: perché non lo fai?

- Accidenti, lo farei anche per due centesimi.

Il nuovo venuto si tolse di tasca due monetine di rame e gliele porse, beffardo. Tom le fece cadere a terra con un colpo della mano. Un attimo e i due ragazzi stavano rotolando sulla polvere, avvinghiati come gatti; e, per un minuto intero si strattonarono, tirandosi per i capelli e i vestiti, mollandosi pugni, graffiandosi la faccia e coprendosi di polverone e di gloria. Infine la confusione assunse una forma e, attraverso la bruma della battaglia, Tom apparve seduto a cavalcioni sul nuovo ragazzo e intento a bersagliarlo con una gragnuola di pugni.

- Grida basta! - disse.

Il ragazzo si divincolava cercando di liberarsi. Stava piangendo, soprattutto per la rabbia.

- Grida basta! - e il martellamento continuò.

Infine lo sconosciuto si lasciò sfuggire un soffocato “Basta!” e Tom lasciò che si rialzasse e disse:

- Bene, questo ti servirà da lezione. La prossima volta farai bene a stare attento prima di prendere in giro qualcuno!

Il nuovo ragazzo si incamminò battendo le mani sul vestito per spolverarlo, singhiozzando, tirando su con il naso e voltandosi di quando in quando per scuotere la testa e per minacciare Tom dicendogli che cosa gli avrebbe fatto “la prossima volta” incontrandolo. Al che Tom rispose con lazzi e sberleffi, per poi incamminarsi tutto tronfio nella direzione opposta; e, non appena ebbe voltato le spalle, il nuovo venuto raccattò un sasso, lo lanciò, colpì il nemico tra le scapole, poi girò sui tacchi e corse via Home un’antilope. Tom inseguì il traditore fino a casa e scoprì così dove abitava. Rimase poi al cancello per qualche tempo, sfidando il nemico a uscire; ma il nemico si limitò a fargli smorfie dietro i vetri della finestra e rifiutò. Infine fu la madre di lui a mostrarsi; gridò a Tom che era un ragazzetto cattivo, perverso e volgare, e gli ordinò di andarsene. Così lui se ne andò, ma disse che gliel’avrebbe “fatta pagare”, al “traditore”.

Arrivò a casa molto tardi, quella sera, e quando, cautamente, entrò scavalcando il davanzale della finestra, cadde nell’imboscata che gli aveva teso la zia; e allorché ella vide in quale stato si era ridotto i vestiti, il suo proposito di tramutargli la vacanza del sabato in prigionia con lavori forzati divenne di una fermezza adamantina.

 

II.

 

La mattina di sabato era spuntata e l’intero mondo estivo splendeva luminoso e traboccante di vita. Ogni cuore conteneva una canzone e, se il cuore era giovane, la musica scaturiva dalle labbra. Tutti i volti esprimevano allegria, tutti i passi avevano un che di elastico. I carrubi erano in fiore e la fragranza della fioritura colmava l’aria.

Verdeggiante vegetazione rivestiva Colle Cardiff, che dominava il villaggio e ne distava abbastanza per sembrare una Terra Promessa, sognante, riposante e invitante.

Tom apparve sul vialetto di lato alla casa, con un secchio di calce per imbiancare e un pennello dal lungo manico. Osservò la staccionata e la letizia gli sfuggì dal cuore mentre una profonda malinconia calava sul suo spirito. Nove metri di recinto di assi alte due metri e settanta! Gli parve che la vita fosse vuota e l’esistenza soltanto un fardello. Sospirando, affondò il pennello e lo passò sull’asse più in alto; ripeté l’operazione una seconda e una terza volta; paragonò l’insignificante striscia imbiancata a calce con lo sconfinato continente di recinzione non imbiancata, e sedette, scoraggiato, su un ceppo. Jim si diresse, saltellando e cantando “Ragazze di Buffalo”, verso il cancello, con il secchio per l’acqua. Portare l’acqua dalla pompa del villaggio era sempre stata, prima di allora, una fatica odiosa agli occhi di Tom, ma ora non gli parve più tale. Ricordò che c’era compagnia, là alla pompa: ragazzi e ragazze, bianchi, mulatti e negri, si trovavano sempre laggiù, in attesa del loro turno, riposando, scambiandosi giocattoli, litigando, picchiandosi, scherzando. E ricordò inoltre che, sebbene la pompa distasse appena centocinquanta metri, Jim non tornava mai con un secchio d’acqua mettendoci meno di un’ora; e che allora, di solito, bisognava che qualcuno andasse a chiamarlo. Tom disse:

- Senti, Jim, ci vado io a prendere l’acqua se tu pitturi un po’ al posto mio.

Jim scosse la testa e rispose:

- Non posso, padroncino Tom. L’anziana padrona mi ha detto di andare a prendere quest’acqua e di  non fermarmi a perdere tempo con nessuno. Immaginava ha detto che padroncino Tom avrebbe cercato di farmi imbiancare a calce e così mi ha detto di filare via diritto e di non perdere tempo con nessuno... ha detto che avrebbe sorvegliato lei l’imbiancatura a calce.

- Oh, lascia perdere quello che ha detto, Jim. Parla sempre così, lei. Dammi quel secchio... ci metterò soltanto un minuto. Non se ne accorgerà mai.

- Oh, non oso, padroncino Tom. L’anziana padrona mi staccherebbe la testa. È certo che lo farebbe.

- Lei! Non picchia mai nessuno... si limita a dare un buffetto sulla testa con il ditale, e chi se ne importa di questo, mi piacerebbe sapere? Parla in un modo spaventoso, ma le parole non fanno male... non fanno male, almeno, se non piange. Jim, ti darò una bilia. Ti darò una bilia extra-grande!

Jim cominciò a vacillare.

- Una grossa bilia, Jim; è davvero una bilia enorme.

- Mamma mia, è proprio uno splendore, giuro. Ma, padroncino Tom, io ho una paura da matti dell’anziana padrona.

- E inoltre, se vuoi, ti mostrerò il dito del piede che mi duole.

Ahimè, Jim era soltanto umano... questo allettamento risultò essere troppo per lui. Posò il secchio e prese la bilia extra-grande. Un minuto dopo, stava volando lungo la strada con il secchio e un gran bruciore sulle natiche. Tom pitturava a calce energicamente e zia Polly si ritirava dal campo di battaglia con una pantofola in mano e una luce di trionfo negli occhi.

Ma l’energia di Tom non durò a lungo. Egli cominciò a pensare agli spassi che aveva progettato per quel giorno e il suo sconforto si moltiplicò. Ben presto i ragazzi liberi si sarebbero incamminati per ogni sorta di deliziose spedizioni, burlandosi a non finire di lui perché era costretto a lavorare... soltanto pensare a questo gli bruciava come fuoco. Si tolse di tasca le proprie ricchezze terrene e le esaminò... pezzi di giocattoli, bilie e ciarpame; abbastanza per assicurarsi uno scambio di lavoro, forse, ma non certo quanto bastava per comprare anche soltanto mezz’ora di assoluta libertà. Pertanto rimise in tasca i suoi scarsi beni, e rinunciò all’idea di tentar di comprare i ragazzi. In quel momento tenebroso e disperato, una ispirazione esplose in lui. Niente di meno d’una grande, magnifica ispirazione.

Riprese il pennello e si mise tranquillamente al lavoro. Di lì a non molto, si avvicinò Ben Rogers; proprio il ragazzo, tra tutti quelli del villaggio, le cui prese in giro egli temeva di più. Ben stava venendo avanti a saltelli su un solo piede, a scarti improvvisi e balzi... una prova più che sufficiente del fatto che aveva il cuore leggero ed era colmo di piacevoli aspettative. Stava mangiando una mela e lanciava a intervalli un lungo e melodioso grido di gioia, seguito da un “ding dong dong, ding dong dong” in tono profondo, poiché in quel momento stava facendo il battello a vapore! Mentre si avvicinava, rallentò l’andatura, si portò nel bel mezzo della strada e orzò poderosamente, poiché immaginava di essere il battello Grande Missouri e supponeva di trovarsi in due metri e settanta d’acqua. Era al contempo battello a vapore, capitano, macchina e campana, per cui doveva raffigurarsi ritto sul ponte di comando a impartire ordini e a eseguirli.

«Macchina ferma! Ding-ding-ding!» L’abbrivio cessò, quasi, e lui accostò, adagio, verso la banchina. «Macchina indietro! Ding-ding-ding!» Il ragazzo raddrizzò le braccia e le tenne rigide lungo i fianchi. «Indietro a dritta! Ding-ding-ding! Ciuff-ciuff-ciuff!» La mano destra di lui, nel frattempo, descrisse cerchi maestosi, poiché stava rappresentando una ruota del diametro di dodici metri. «Indietro a sinistra, adesso! Ding-ding-ding! Ciuff! Ciuff! Ciuff!» E anche la mano sinistra cominciò a descrivere circoli.  «Ferma a sinistra! Ferma a sinistra! Ding-ding-ding! Avanti a dritta! Macchina ferma! Adagio a sinistra! Ding-ding-ding! Ciuff! Ciuff! Fuori quella cima d’ormeggio! Presto, adesso! Fuori il traversino!... Che cosa state combinando, laggiù? Passatelo con un giro intorno al palo! Pronti con la passerella, adesso... mollatela! Macchina ferma! Ding-ding-ding!»

Seguì un:

«Sccccc! Sccccc! Sccccc!» (Mentre provava i manometri di pressione.)

Tom continuò a imbiancare a calce... senza prestare la benché minima attenzione al battello a vapore.

Ben lo fissò per un momento, poi disse:

- Ehi, ciao! Ti trovi in un bell’impiccio, eh?

Nessuna risposta. Tom osservò la sua ultima pennellata con uno sguardo da artista; poi ripassò ancora una volta, dolcemente, il pennello e di nuovo esaminò il risultato, come prima. Ben gli corse accanto.

Tom aveva l’acquolina in bocca a causa della mela, ma continuò a lavorare. Ben disse:

- Salve, vecchio mio; devi darti da fare, eh?

- Oh, sei tu, Ben! Non ti avevo visto.

- Senti, io sto andando a farmi una nuotata, eh sì! Non andrebbe anche a te di nuotare? Ma, naturalmente, devi restare qui a finire questo lavoro, eh, sì, certo che devi finirlo!

Tom contemplò per un momento il ragazzo e disse:

- Cos’è che chiami lavoro?

- Perché, non è un lavoro, questo?

Tom ricominciò a pitturare, e rispose, con noncuranza:

- Be’, forse lo è e forse no. Io so soltanto che si addice a Tom Sawyer.

- Oh, andiamo, non vorrai farmi credere che ti piace?

Il pennello continuò a muoversi.

- Se mi piace? Be’, non vedo perché non dovrebbe piacermi. Capita forse ogni giorno, a noi ragazzi, la possibilità di imbiancare a calce una recinzione?

Queste parole fecero apparire la cosa sotto una nuova luce. Ben smise di mordicchiare la mela. Tom passò il pennello, delicatamente, avanti e indietro... indietreggiò di un passo per ammirare l’effetto... aggiunse un tocco qua e uno là... poi tornò a esaminare l’effetto con aria critica, mentre Ben seguiva ogni sua mossa e diventava sempre e sempre più interessato, sempre e sempre più affascinato. Infine disse:

- Ehi, Tom, lasciami imbiancare un po’.

Tom rifletteva. Parve sul punto di acconsentire, ma poi cambiò idea:

- No, no; credo proprio che non sia possibile, Ben. Vedi, zia Polly ci tiene enormemente a questa recinzione... dà proprio sulla strada, capisci... se si trattasse della recinzione dietro casa non m’importerebbe, e non importerebbe nemmeno a lei. Sì, è tremendamente pignola per quanto concerne  questa recinzione; il lavoro deve essere fatto con somma cura; non c’è un ragazzo su mille, forse su duemila, scommetto, che possa pitturarla come deve essere pitturata.

- Ah no... eh? Oh, andiamo, lasciami soltanto provare, soltanto per un po’. Se fossi al posto tuo io te lo consentirei, Tom.

- Ben, vorrei lasciarti provare, te lo giuro, ma zia Polly... vedi, Jim voleva pitturarla lui la recinzione, e zia Polly non glielo ha consentito. Voleva pitturarla anche Sid, e lei non ha consentito nemmeno a Sid. Andiamo, non lo capisci in che situazione mi trovo? Se tu dovessi pitturare questa recinzione, e il lavoro non riuscisse bene...

- Oh, storie; starei molto attento. Su, lasciami provare. Senti... ti darò il torsolo della mela.

- Be’, allora... No, Ben, non posso. Ho paura che...

- Te la darò tutta!

Tom consegnò il pennello, con riluttanza sulla faccia, ma alacrità nel cuore. E mentre quello che era stato il battello a vapore Grande Missouri sgobbava e sudava al sole, l’artista a riposo sedette all’ombra su un barile lì accanto, fece dondolare le gambe, rosicchiò la mela e progettò il massacro di altri innocenti. La materia prima non mancò; altri ragazzi passarono di lì per caso, di tanto in tanto; si avvicinarono per prendere in giro e rimasero a imbiancare a calce. Quando Ben non ne poteva ormai più, Tom aveva barattato la possibilità successiva con Billy Fisher contro un aquilone in buono stato; e quando anche Billy fu sfinito, Johnny Miller pagò lo spasso di pitturare con un topo morto e un pezzo di spago per farlo girare in aria; e così via e così via, un’ora dopo l’altra. E allorché giunse la metà pomeriggio, Tom, che quel mattino era stato un ragazzo afflitto dalla miseria, si rotolava, letteralmente, tra le ricchezze. Oltre alle cose che ho già menzionato, possedeva dodici bilie, parte di uno scacciapensieri, un frammento di bottiglia blu per guardarci attraverso, un rocchetto, una chiave che non avrebbe mai aperto niente, un pezzo di gesso, il tappo di vetro di una caraffa, un soldatino di stagno, due girini, sei petardi, un gattino con un occhio solo, una maniglia di porta in ottone, un collare per cani, ma non il cane, il manico di un coltello, quattro pezzi di buccia d’arancia e un vecchio e malconcio telaio di finestra. Per tutto il tempo era rimasto in ozio divertendosi piacevolmente, in buona e numerosa compagnia, e la recinzione aveva ben tre strati di imbiancatura a calce! Se non fosse rimasto senza calce per imbiancare, avrebbe mandato in bancarotta tutti i ragazzi del villaggio.

Tom disse a se stesso che il mondo non era poi così desolato, in fin dei conti. Senza rendersene conto, aveva scoperto una grande legge delle azioni umane, vale a dire che per indurre un uomo o un ragazzo a bramare qualcosa, è necessario soltanto far sì che quella cosa sia difficile da ottenere. Se fosse stato un grande e savio filosofo, come l’autore del presente libro, si sarebbe reso conto, a questo punto, che il lavoro consiste in qualsiasi cosa una persona è costretta a fare, mentre il divertimento consiste in qualsiasi cosa una persona non è costretta a fare. E ciò lo aiuterebbe a capire perché fare fiori artificiali o sorvegliare un mulino è un lavoro mentre lanciare grosse palle contro birilli o scalare il Monte Bianco è soltanto divertimento. Vi sono ricchi gentiluomini, in Inghilterra, che guidano carrozze con tiri a quattro, per trenta o quaranta chilometri al giorno, in estate, perché un simile privilegio costa loro parecchi quattrini; ma, se venisse offerto loro un compenso per questa fatica, ciò la tramuterebbe in lavoro, e in tal caso darebbero le dimissioni.

 

III.

 

Tom si presentò alla zia Polly, seduta accanto a una finestra aperta sul retro della casa, nella piacevole stanza che serviva al contempo da camera da letto, tinello, sala da pranzo e biblioteca. La fragrante aria estiva, il silenzio riposante, il profumo dei fiori e il ronzio cullante delle api avevano prodotto il loro effetto, e ora la testa le stava ciondolando sul lavoro a maglia... poiché ella non aveva altra compagnia all’infuori di quella del gatto, che le dormiva in grembo. Gli occhiali, per maggior sicurezza, erano stati spinti in alto, sulla testa brizzolata. Ella aveva creduto che Tom se la fosse squagliata già da un pezzo, naturalmente, e si meravigliò vedendolo venire a mettersi in suo potere così intrepidamente. Il ragazzo disse:

- Potrei andare a giocare, adesso, zia?

- Cosa, di già? Quanta ne hai pitturata della recinzione?

- È tutta pitturata, zia.

- Tom, non mentirmi. Non lo sopporto.

- Non ti sto mentendo, zia. Il lavoro è completamente finito.

Zia Polly si fidò poco di questa affermazione. Uscì per vedere con i suoi occhi, e sarebbe rimasta soddisfatta se quanto Tom aveva detto fosse stato vero al venti per cento. Quando trovò l’intera recinzione imbiancata a calce, e non soltanto con una sola mano, ma minuziosamente ripassata due volte e persino tre, con addirittura una striscia di calce sul terreno, il suo stupore divenne quasi indicibile.

Esclamò:

- Ah, be’, non lo avrei mai creduto! Non c’è che dire: sai lavorare come si deve, quando vuoi, Tom.

Ma poi diluì il complimento soggiungendo:

- Bisogna dire, però, che questa voglia ti prende molto di rado. Bene, va’ pure a giocare; bada, però, di tornare a un certo momento, entro una settimana, altrimenti le buschi.

Era talmente sopraffatta dallo splendore del risultato, che condusse Tom nel ripostiglio, scelse una mela di prima qualità e gliela diede, facendogli intanto un predicozzo edificante sul maggior valore e il miglior sapore che una cosa già buona di per sé può assumere quando la si ottiene onestamente, con strenue fatiche. E, mentre concludeva con una fiorita citazione delle Sacre Scritture, Tom “soffiò” una frittella  dolce.

Poi corse fuori e vide Sid che cominciava a salire proprio in quel momento la scala esterna verso le stanze del primo piano. Aveva zolle di terra a portata di mano e, in un lampo, esse oscurarono l’aria. Saettarono tempestosamente intorno a Sid, come una grandinata e, prima che zia Polly avesse potuto chiamare a raccolta le proprie facoltà, momentaneamente paralizzate dallo stupore, e accorrere in soccorso, sei o sette grosse zolle erano finite in pieno sul bersaglio e Tom si trovava, invisibile, al di là della recinzione. Esisteva un cancello, ma, di solito, egli aveva troppo poco tempo a propria disposizione per potersene servire. Tom sentì comunque di aver l’anima in pace adesso che era riuscito a regolare i conti con Sid, colpevole di avere richiamato l’attenzione sul filo nero, mettendolo nei pasticci.

Rasentò l’isolato e voltò in una viuzza fangosa che passava dietro la stalla della zia. Di lì a poco venne a trovarsi al sicuro, sottratto alla cattura e al castigo, e si diresse verso la pubblica piazza del villaggio, ove due compagnie “militaresche” di ragazzi si erano riunite per un conflitto, come convenuto in precedenza.

Tom era il generale di uno di questi eserciti, e Joe Harper (un suo grande amico) comandava l’altro. I due grandi generali non si degnavano di battersi personalmente – poiché questo si addiceva assai di più ai pesci piccoli – ma se ne stavano seduti insieme su un piccolo poggio e dirigevano le operazioni sul campo impartendo ordini trasmessi mediante aiutanti. Dopo una lunga battaglia, aspramente combattuta, l’esercito di Tom riportò una grande vittoria.

Dopodiché vennero contati i morti, scambiati i prigionieri, stabiliti i termini del prossimo dissenso e fissato il giorno dell’inevitabile nuova battaglia; infine gli eserciti tornarono a inquadrarsi, si allontanarono a passo di marcia, e Tom si avviò, solo, verso casa.

Mentre stava passando accanto alla casa ove abitava Jeff Thatcher, scorse nel giardino una ragazza nuova da quelle parti, un’adorabile, piccola creatura dagli occhi celesti e dai capelli biondi avvolti in due lunghe trecce; indossava un abitino estivo bianco e mutande lunghe ricamate. L’eroe appena incoronato stramazzò senza che fosse stato sparato un colpo. Una certa Amy Lawrence svanì dal suo cuore, senza lasciarvi nemmeno un ricordo di se stessa. Egli aveva creduto di amarla fino alla disperazione; aveva considerato quell’amore un’adorazione; e ora, all’improvviso, non si trattava che di una insignificante ed evanescente simpatia. Aveva impiegato mesi per conquistare Amy, che si era dichiarata disposta a ricambiarlo appena una settimana prima; appena sette brevi giorni addietro egli era stato il più felice e il più orgoglioso ragazzo del mondo, e adesso, in un attimo, lei aveva abbandonato il suo cuore come una qualsiasi estranea la cui visita fosse terminata.

Tom adorò questo nuovo angelo con sguardi furtivi, finché non si fu reso conto che la ragazzina lo aveva notato; poi finse di essere ignaro della sua presenza e cominciò a “esibirsi” in ogni sorta di assurdi modi infantili, allo scopo di assicurarsene l’ammirazione. Continuò per qualche tempo a sfoggiare quelle grottesche scempiaggini; ma, di lì a non molto, mentre stava eseguendo alcune pericolose acrobazie ginniche, sbirciò di lato e vide che la ragazzina stava andando verso la casa.

Si avvicinò allora alla recinzione e si appoggiò a essa, soffrendo e sperando che la bambina indugiasse ancora per qualche momento. Ella sostò un attimo sui gradini, poi si mosse nella direzione della porta.

Tom emise un gran sospiro mentre la sconosciuta metteva il piede sulla soglia, ma poi, subito, si illuminò in viso, poiché lei lanciò una viola del pensiero al di là della recinzione, prima di scomparire. Il ragazzo corse intorno alla recinzione, si fermò a un mezzo metro circa dal fiore, poi si fece schermo agli occhi con la mano e prese a guardare lungo la strada come se avesse scoperto qualcosa di interessante che stava accadendo da quella parte. Dopo qualche momento, raccattò un filo di paglia e cominciò a cercare di tenerlo in equilibrio sul naso, la testa molto arrovesciata all’indietro; e mentre, facendo quei tentativi, si spostava da un lato e dall’altro, si avvicinò sempre e sempre più alla viola del pensiero; infine vi mise su il piede nudo, con le dita chiuse sul fiore, quindi saltellò via con il tesoro, e scomparve dietro l’angolo. Ma soltanto per un minuto, giusto il tempo di infilare la viola del pensiero sotto la giacchetta, contro il cuore, o più probabilmente contro lo stomaco, in quanto non era molto versato in anatomia, né troppo pignolo, del resto.

Tornò indietro subito dopo e rimase intorno alla recinzione fino al cader della notte, “esibendosi” come prima; ma la ragazzetta non si fece più vedere e Tom si consolò un poco con la speranza che ella fosse rimasta per tutto quel tempo dietro qualche finestra, consapevole delle sue attenzioni. Infine tornò a casa riluttante, con la povera testa colma di visioni.

Per tutto il tempo, durante la cena, fu così effervescente da far sì che la zia si domandasse “che cosa poteva essere accaduto al bambino”. Si prese una bella ramanzina per avere scagliato le zolle di terra contro Sid, ma parve non curarsene minimamente. Cercò di rubare zucchero proprio sotto il naso della zia e si beccò una bacchettata sulle nocche per questo. Disse:

- Zia, tu non punisci Sid quando ruba lo zucchero!

- Be’, Sid non tormenta nessuno come fai tu. Se non ti sorvegliassi, non faresti altro che cacciarti zucchero in bocca.

Di lì a poco ella andò in cucina, e Sid, esultante a causa della sua immunità, allungò la mano verso la zuccheriera, con una sorta di vanteria nei riguardi di Tom che era quasi insopportabile. Ma la zuccheriera gli scivolò tra le dita e cadde e andò in pezzi. Tom era in estasi... un’estasi tale da consentirgli persino di tenere a freno la lingua e tacere. Disse a se stesso che non avrebbe pronunciato una sola parola, nemmeno una volta entrata la zia, ma che sarebbe rimasto del tutto immobile fino a quando ella avesse domandato chi era stato; dopodiché glielo avrebbe detto e niente al mondo sarebbe potuto essere piacevole quanto assistere alla punizione di quel bambino monello, di quel tesoruccio.

Era talmente traboccante di esultanza che quasi non riuscì a trattenersi quando l’anziana signora rientrò e rimase in piedi davanti ai cocci, sprizzando fulmini d’ira al di sopra degli occhiali. Tom si disse:

“Ora ci siamo!”. E, un attimo dopo, eccolo lungo disteso sul pavimento! Il palmo possente era alzato per colpire ancora, quando egli gridò:

- Ehi, un momento, perché stai picchiando me? È stato Sid a romperla!

Zia Polly tacque, perplessa, e Tom aspettò la compassione consolatrice. Ma la zia, una volta ritrovata la favella, si limitò a dire:

- Uhm! Be’, non sei stato picchiato per niente, credo. Sono sicura che anche tu ne hai combinata qualcuna delle tue, mentre io non mi trovavo qui.

Poi la coscienza la rimproverò ed ella anelò a dire qualcosa di gentile e di affettuoso; ma ritenne che ciò sarebbe stato interpretato come una confessione da parte sua del fatto che aveva avuto torto, e la disciplina lo sconsigliava. Pertanto tacque e continuò a sbrigare le sue faccende ma con il cuore molto turbato.

Tom fece il broncio in un angolo, ingrandendo nell’immaginazione le proprie disgrazie. Sapeva che la zia, in cuor suo, gli si stava inginocchiando dinanzi, ed era tetramente soddisfatto rendendosene conto. Ma non intendeva inalberare segnali, o badare a quelli che gli venivano fatti.

Sapeva che, di quando in quando, uno sguardo struggente si posava su di lui attraverso un velo di lacrime, ma si rifiutava di avvedersene. Immaginò se stesso a letto malato e in punto di morte, e la zia che si chinava su di lui, implorando una sola, breve parola di perdono; e vide se stesso voltarsi verso la parete e morire senza aver pronunciato quella parola. Ah, che cosa avrebbe provato, allora, zia Polly?

Poi immaginò di essere portato a casa dal fiume, morto, con tutti i riccioli zuppi, e le povere mani immobili per sempre, e il cuore afflitto fermo in eterno. Come si sarebbe gettata su di lui, allora, la zia, e con quante lacrime simili a pioggia lo avrebbe inondato, e quanto avrebbe pregato Dio di restituirle il suo ragazzo, giurando di non maltrattarlo mai, mai più! Ma lui sarebbe rimasto lì, gelido e bianco, senza fare il benché minimo segno... un povero, piccolo martire le cui sofferenze erano cessate. Si commosse a tal punto, con il pathos di questi sogni, che dovette continuare a deglutire; era come soffocare, e le lacrime gli offuscarono gli occhi, e traboccarono quando batté le palpebre, scorrendo giù e gocciolandogli dalla punta del naso. Ed era una tale voluttà, per lui, questo coccolare la sofferenza, che non avrebbe sopportato l’intromissione di alcuna allegria terrena, di alcuna esasperante esultanza; quel che provava era troppo sacro per tollerare contatti del genere; e così quando, di lì a poco, sua cugina Mary entrò danzando, traboccante di felicità perché si trovava di nuovo a casa dopo essere stata in campagna per una settimana lunga come un secolo, Tom balzò in piedi e uscì da una porta, avvolto nelle nubi e nelle tenebre, mentre lei varcava l’altra soglia portando canzoni e splendore solare.

Tom vagabondò lontano dai luoghi frequentati di solito dai ragazzi, cercando posti desolati, in armonia con il suo stato d’animo. Una zattera di tronchi sul fiume lo invitò, ed egli sedette sull’orlo opposto alla riva e contemplò la malinconica vastità del corso d’acqua, augurandosi per tutto il tempo di poter soltanto affogare subito e inconsapevolmente, senza dover passare per la scomoda routine escogitata dalla natura. Poi pensò alla viola del pensiero. La tirò fuori di sotto la giacchetta, malconcia e avvizzita, e quel fiore accrebbe enormemente la sua tetra infelicità. Si domandò se lei, almeno, lo avrebbe compassionato, qualora avesse saputo! Si sarebbe messa a piangere, augurandosi di avere il diritto di gettargli le braccia al collo e di consolarlo? Oppure gli avrebbe voltato gelida le spalle, come l’intero, vuoto mondo? Questa scena gli causò un tale strazio di piacevole sofferenza, che la visse e la rivisse nell’immaginazione, vedendola sotto sempre nuove e diverse luci, fino a logorarla. Infine si alzò con un sospiro e si incamminò al buio.

Verso le nove e mezzo o le dieci, giunse nella strada deserta ove abitava l’adorata sconosciuta; sostò un momento, ma non un suono gli giunse alle orecchie in ascolto; una candela stava proiettando un bagliore fioco sulla tenda di una finestra al primo piano. Si trovava forse là, la sacra presenza? Scavalcò la recinzione e, furtivamente, si inoltrò tra le piante finché non venne a trovarsi sotto quella finestra; alzò gli occhi e la contemplò a lungo, commosso; poi si distese sotto a essa, con le mani intrecciate sul petto, il povero fiore avvizzito tra le dita. E così sarebbe morto... all’aperto nel gelido mondo, privo di una casa, senza un tetto che lo riparasse, senza una mano amica pronta ad asciugargli dalla fronte il sudore della fine, senza un viso amorevole che si chinasse a confortarlo nel momento dell’agonia ultima. E così lei lo avrebbe veduto alzando gli occhi verso la lieta mattinata... e, oh, si sarebbe degnata di versare una lacrima sul suo povero corpo esanime, si sarebbe lasciata sfuggire anche soltanto un breve sospiro, vedendo una vita giovane e ricca di promesse così crudelmente spenta, così precocemente falciata?

Il telaio della finestra venne sollevato, la voce sgraziata di una cameriera profanò il sacro silenzio e un diluvio d’acqua inzuppò le spoglie del prono martire!

L’eroe balzò in piedi soffocando, con uno sbuffo di liberazione; si udì nell’aria un sibilo che faceva pensare a un proiettile, insieme al mormorio di un’imprecazione cui fece seguito uno schianto come di vetro andato in pezzi, poi un’esile e vaga sagoma scavalcò la recinzione e filò via nell’oscurità.

Non molto tempo dopo, mentre Tom, spogliato per coricarsi, contemplava i propri indumenti zuppi alla luce di una candela di sego, Sid si destò; ma, se anche aveva in mente di fare qualche “opportuna allusione”, ci ripensò e tacque... in quanto si poteva leggere il pericolo negli occhi di Tom. Tom si ficcò sotto le coperte senza l’ulteriore fastidio delle preghiere, e Sid prese mentalmente nota dell’omissione.

 

Читайте продолжение повести Марка Твена «Приключения Тома Сойера» (Le avventure di Tom Sawyer) на итальянском языке – глава 4». Другие повести, рассказы, романы и т.д. можно читать онлайн в разделе «Книги на итальянском языке».

 

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