Старик и море (Il vecchio e il mare) - продолжение |
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Ora che lo aveva visto, riusciva a immaginare il pesce mentre nuotava nell'acqua con le pinne pettorali violette spalancate come ali e la grande coda eretta che fendeva il buio. Chissà se riesce a vedere a quella profondità, pensò il vecchio. Ha l'occhio enorme e i cavalli, che hanno gli occhi molto più piccoli, riescono a vedere al buio. Una volta vedevo abbastanza bene al buio. Non nel buio assoluto. Ma quasi come un gatto. Il sole e il movimento regolare delle dita ormai gli avevano sciolto completamente il crampo della mano sinistra e il vecchio incominciò a passarle una maggior quantità di peso e mosse i muscoli della schiena per spostare un poco il dolore della lenza. “Se tu non sei stanco, pesce”, - disse ad alta voce, - “devi essere ben strano.” Ora si sentiva molto stanco, e sapeva che presto sarebbe giunta la notte e cercava di pensare ad altro. Pensò alle Grandi Leghe, per lui erano le Grand Ligas, e sapeva che gli Yankees di New York giocavano contro i Tigers di Detroit. E già il secondo giorno che non so il risultato dei juegos, pensò. Ma devo aver fiducia e devo esser degno del grande Di Maggio che fa sempre tutto alla perfezione anche col dolore del soprosso nel calcagno. Che cos'è un soprosso? si chiese. Una espuela de hueso. Noialtri non ne abbiamo. Farà male come lo sperone di un gallo da combattimento in un calcagno? Non credo che riuscirei a sopportarlo e neanche la perdita di un occhio e di tutti e due gli occhi e di continuare a combattere come fanno i galli da combattimento. L'uomo non è granché vicino ai grandi uccelli e alle bestie. Vorrei proprio essere quella bestia laggiù nel buio del mare. “Purché non vengano i pescecani”, - disse ad alta voce. “Se vengono i pescecani, Dio abbia pietà di lui e di me.” Credi che il grande Di Maggio resisterebbe con un pesce tutto il tempo che io resisterò con questo? pensò. Sono certo di sì, e ancora di più, dato che è giovane e forte. Anche suo padre faceva il pescatore. Ma il soprosso gli farebbe proprio male? “Non lo so”, - disse ad alta voce. “Non ho mai avuto un soprosso.” Quando il sole tramontò, per farsi coraggio ricordò che una volta in una taverna di Casablanca aveva giocato al braccio di ferro col grande negro di Cienfuegos che era l'uomo più forte del porto. Erano rimasti un giorno e una notte coi gomiti su una linea di gesso tracciata sul tavolo, e gli avambracci ritti e le mani serrate in una morsa. Ciascuno cercava di costringere la mano dell'altro ad abbattersi sul tavolo. Si erano fatte molte scommesse e la gente andava e veniva dalla stanza sotto le lampade a petrolio e il vecchio continuava a guardare il braccio e la mano del negro e la faccia del negro. Cambiavano gli arbitri ogni quattro ore dopo le prime otto perché gli arbitri potessero dormire. Usciva sangue da sotto alle unghie sue e del negro e si guardavano negli occhi e guardavano le mani e gli avambracci e gli scommettitori andavano e venivano per la stanza e si mettevano a sedere sui seggiolini lungo la parete e stavano a guardare. Le pareti erano dipinte di un azzurro vivace ed erano di legno e le lampade vi gettavano contro le loro ombre. L'ombra del negro era enorme e si muoveva sulla parete ogni volta che l’aria muoveva le lampade. Le scommesse cambiarono e oscillarono tutta la notte e il negro venne nutrito col rum e a lui diedero sigarette già accese. Il negro, dopo il rum, faceva sforzi colossali e una volta aveva fatto perdere l'equilibrio di quasi otto centimetri al vecchio, che allora non era vecchio, ma Santiago El Campeon. Ma il vecchio aveva rialzato la mano rimettendola in pari. Fu certo, allora, che avrebbe battuto il negro, che era un uomo in gamba e un grande atleta. E all'alba, quando gli scommettitori chiedevano che si tirasse a sorte e l'arbitro scuoteva la testa, aveva sferrato il suo attacco e aveva forzato la mano del negro giù e giù finché si era appoggiata sul legno. La gara era incominciata una domenica mattina ed era finita il lunedì mattina. Molti scommettitori avevano chiesto che si tirasse a sorte perché dovevano andare a lavorare sui moli a caricare sacchi di zucchero o alla Avana Coal Company. Altrimenti tutti avrebbero voluto che giungesse alla fine. Ma lui comunque l'aveva finita e prima che la gente dovesse andare al lavoro. Dopo, tutti l'avevano chiamato per molto tempo Il Campione e in primavera c'era stata la rivincita. Ma non vi erano state molte scommesse e aveva vinto molto facilmente perché quella prima gara aveva intaccato la fiducia del negro di Cienfuegos. Dopo quella volta aveva fatto ancora qualche gara e poi mai più. Decise che se proprio ne aveva voglia poteva battere chiunque e decise che gli faceva male alla mano destra, per la pesca. Aveva provato a fare qualche gara di allenamento con la mano sinistra. Ma la mano sinistra era sempre stata una traditrice e non faceva quello che doveva fare e il vecchio non se ne fidava. Il sole ora l'abbrustolirà per bene, pensò. Non dovrebbe ritornarmi il crampo se durante la notte non viene troppo freddo. Chissà che cosa succederà stanotte. In alto passò un aeroplano diretto a Miami e il vecchio ne osservò l'ombra che metteva paura alle frotte di pesci volanti. “Con tutti questi pesci volanti dovrebbero esserci i delfini”, - disse, e fece forza contro la lenza per vedere se gli riusciva di ricuperarne un po'. Ma non riuscì, e la lenza rimase tesa e vibrante d'acqua come nel momento che precede lo strappo. La barca procedeva lentamente e il vecchio guardò l'aeroplano finché esso scomparve. Dev'essere molto strano, in aeroplano, pensò. Chissà com'è il mare da quell'altezza? Dovrebbero veder bene il pesce, se non volano troppo alto. Mi piacerebbe volare molto adagio a duecento tese d'altezza e vedere il pesce dall'alto. Nelle barche per le tartarughe stavo sul pennone di parrocchetto e già da quell'altezza vedevo molto. I delfini sembrano più verdi di lassù, e si possono vedere le strisce e le macchie viola, e si può vedere tutto il branco mentre nuota. Chissà perché tutti quei pesci veloci che stanno nell'acqua buia hanno la schiena viola e per lo più strisce o macchie viola? Naturalmente il delfino sembra verde ma non lo è, perché in realtà è color dell'oro. Ma quando viene a mangiare, che è proprio affamato, sui fianchi gli si vedono strisce viola come sui marlin. Che sia la collera, o la velocità maggiore a farle venir fuori? Poco prima che scendesse il buio, mentre oltrepassavano una grande isola di sargassi che si gonfiava e muoveva nel mare chiaro come se l'oceano facesse all'amore sotto una coperta gialla, alla lenza piccola abboccò un delfino. Il vecchio lo vide per la prima volta quando balzò nell'aria, proprio come l'oro nell'ultimo sole e prese a curvarsi e sbattere all'impazzata nell'aria. Continuò a balzare spinto dalla paura e il vecchio ritornò a poppa e accoccolandosi e tenendo la lenza grande con la mano e il braccio destro, tirò il delfino con la mano sinistra posando il piede sinistro nudo sulla lenza ogni volta che ne conquistava un pezzo. Quando il pesce giunse a poppa, tuffandosi e rivoltandosi disperato, il vecchio si sporse fuori dalla poppa e sollevò a bordo il pesce d'oro brunito con le sue macchie viola. Le mascelle si contraevano convulse in morsi veloci sull'amo mentre il pesce batteva il fondo della barca col lungo corpo piatto, la coda e la testa, finché fu preso a mazzate sulla testa dorata scintillante e rabbrividì e rimase immobile. Il vecchio tolse l'amo dal pesce, rimise un'altra sardina come esca alla lenza e la gettò in mare. Poi si avvicinò lentamente a prua. Si lavò la mano sinistra e se l'asciugò sui calzoni. Poi spostò la lenza pesante dalla mano destra alla sinistra e si lavò la mano destra mentre guardava il sole scendere nell'oceano e l'inclinazione del grande cavo. “Non ha cambiato affatto”, - disse. Ma guardando il movimento dell'acqua sulla mano, si accorse che era visibilmente più lento. “Legherò i due remi insieme attraverso la poppa e questo la farà rallentare durante la notte”, - disse. “È ancora in gamba per la nottata e lo sono anch'io.” È meglio sventrare il delfino un po' più tardi perché gli resti il sangue nella carne, pensò. Lo farò più tardi, e intanto legherò i remi per frenare. È meglio che per ora lasci il pesce tranquillo e non lo disturbi troppo al tramonto. Il tramonto del sole è un momento difficile per tutti i pesci. Si asciugò la mano all'aria, poi afferrò la lenza e si mise più a suo agio che poté, e si lasciò tirare in avanti contro il legno, in modo che la barca reggesse lo sforzo quanto e più di lui. Sto imparando come fare, pensò. Almeno in questo. Poi ricordati che non ha mangiato da quando ha preso l'esca ed è enorme e ha bisogno di molto cibo. Io ho mangiato tutto il bonito. Domani mangerò il delfino. Lo chiamò dorado. Forse dovrei mangiarne un po' mentre lo pulisco. Sarà più duro da mangiare del bonito. Ma non c'è niente di facile. “Come stai, pesce?”, - chiese ad alta voce. “Io sto bene e la mano sinistra va meglio e ho da mangiare per una notte e un giorno. Tira la barca, pesce.” In realtà non si sentiva bene, perché il dolore della corda attraverso la schiena aveva quasi oltrepassato il dolore ed era diventato una monotonia che non gli ispirava fiducia. Ma mi è capitato di peggio, pensò. Nella mano non ho che un taglietto piccolo e nell'altra il crampo se n'è andato. Le gambe sono a posto. E poi adesso sono più forte di lui nella questione del cibo. Ormai era buio come diventa buio in fretta quando tramonta il sole in settembre. Il vecchio si stese sul legno consunto della prua e si riposò più che poté. Spuntarono le prime stelle. Non sapeva che si chiamava Rigel, ma la vide e sapeva che presto sarebbero spuntate tutte e ci sarebbero stati tutti i suoi amici lontani. “Anche il pesce è mio amico”, - disse ad alta voce. “Non ho mai visto e non ho mai sentito parlare di un pesce simile. Ma devo ucciderlo. Sono contento che non dobbiamo cercar di uccidere le stelle.” Pensa se ogni giorno un uomo dovesse cercar di uccidere la luna pensò. La luna scappa. Ma pensa se ogni giorno uno dovesse cercar di uccidere il sole. Siamo nati fortunati, pensò. Poi gli dispiacque che il grosso pesce non avesse nulla da mangiare e il dispiacere non indebolì mai la decisione di ucciderlo. A quanta gente farà da cibo, pensò. Ma sono degni di mangiarlo? No, no di certo. Non c'è nessuno degno di mangiarlo, con questo suo nobile contegno e questa sua grande dignità. Non capisco queste cose, pensò. Ma è una fortuna che non dobbiamo cercar di uccidere il sole o la luna o le stelle. Basta già vivere sul mare e uccidere i nostri veri fratelli. Ora, pensò, devo pensare al freno. Presenta i suoi pericoli e i suoi vantaggi. Può darsi che mi faccia sprecare tanta lenza che finirò per perderlo, se sferra il suo attacco e il freno dei remi è a posto e la barca perde la leggerezza. Questa leggerezza prolunga a tutti e due la sofferenza, ma è la mia salvezza perché lui non ha ancora sfruttato tutta la velocità di cui è capace. Qualunque cosa succede devo sventrare il delfino perché non vada a male e devo mangiarne un po' per restare forte. Ora riposerò un'altra oretta e sentirò che il pesce sia solido e regolare prima di andare a poppa al lavoro e a decidermi. Intanto posso vedere come agisce e se mostra qualche cambiamento. Quello dei remi è un buon trucco; ma è giunto il momento che deve diventare la salvezza. È ancora un gran pesce e ho visto che aveva l'amo nell'angolo della bocca e ha tenuto la bocca chiusa. La sconfitta dell'amo non è nulla. È la sconfitta della fame e il fatto di trovarsi contro qualcosa che non riesce a capire a essere tutto. Ora riposati, vecchio, e lascialo lavorare finché viene il tuo turno. Riposò per quello che gli parvero due ore. La luna non si alzò fino a tardi e il vecchio non aveva modo di stabilire l'ora. Ora riposava davvero, sia pure relativamente. Reggeva ancora la pressione del pesce sulle spalle, ma posò la mano sinistra sulla falchetta della prua e affidò sempre più alla barca la resistenza del pesce. Come sarebbe semplice se potessi dar di volta alla lenza, pensò. Ma il primo strattone la potrebbe spezzare. Devo trattenere col corpo la pressione della lenza ed essere pronto da un momento all'altro a dare lenza con tutt'e due le mani. “Ma tu non hai ancora dormito, vecchio”, - disse ad alta voce. “È da una mezza giornata e una nottata e ora un'altra giornata che non dormi. Devi inventare qualcosa per poter dormire un po' se lui sta quieto e tranquillo. Se non dormi, rischi di perdere la lucidità mentale.” Sono lucido abbastanza nella mente, pensò. Troppo lucido. Sono lucido come le stelle che sono miei fratelli. Però devo dormire. Loro dormono e la luna e il sole dormono e perfino l'oceano dorme a volte, certi giorni che non c'è corrente e l'acqua è calma. Ma ricorda di dormire, pensò. Fai in modo di riuscirvi e inventa qualcosa di semplice e sicuro per le lenze. Ora va a preparare il delfino. È troppo pericoloso armare i remi da freno se devi dormire. Potrei resistere senza dormire, disse a se stesso. Ma sarebbe troppo pericoloso. Si avviò verso poppa appoggiandosi alle mani e alle ginocchia, attento a non far sobbalzare il pesce. Può darsi che sia mezzo addormentato anche lui, pensò. Ma non voglio che si riposi. Deve tirare finché muore. Arrivato a poppa si voltò in modo che la mano sinistra potesse reggere il peso della lenza sulle spalle e con la mano destra estrasse il coltello dalla guaina. Ora le stelle erano lucenti e il vecchio vide distintamente il delfino e gli immerse la lama del coltello nella testa e lo tirò fuori da sotto la poppa. Posò un piede sull'animale e lo tagliò in fretta dall'ano fino all'estremità della mascella inferiore. Poi posò il coltello e lo sventrò con la mano destra, raschiandolo per pulirlo e sgombrandogli le branchie. Sentì la pancia pesante e sdrucciolevole tra le mani e la spaccò. Vi erano due pesci volanti, dentro, freschi e sodi e li posò uno accanto all'altro e gettò gli intestini e le branchie in mare. Affondarono lasciando nell'acqua una traccia fosforescente. Il delfino era freddo e di un bianco grigiastro da lebbroso, ora, sotto la luce delle stelle, e il vecchio gli scuoiò un fianco tenendogli il piede destro sulla testa. Poi lo rivoltò e scuoiò l'altro fianco e tagliò i due fianchi dalla testa alla coda. Fece scivolare la carcassa in mare e guardò per vedere se vi fosse qualche mulinello nell'acqua. Ma vi fu soltanto la luce della lenta discesa. Allora si voltò e pose i due pesci volanti tra i due filetti di pesce e dopo aver rimesso il coltello nella guaina ritornò lentamente a prua. Aveva la schiena curva sotto il peso della lenza e reggeva il pesce con la mano destra. Ritornato a prua posò i due filetti di pesce sul legno, coi pesci volanti accanto. Poi si sistemò la lenza sulle spalle in un punto nuovo e tornò a reggerla appoggiando la mano sinistra sul bordo della barca. Si sporse verso l'acqua e lavò il pesce volante osservando la velocità dell'acqua contro la mano. La mano era fosforescente per aver scuoiato il delfino e il vecchio osservò l'acqua che vi scorreva sopra. L'acqua era più lenta e quando il vecchio strofinò il fianco della mano contro il fasciame della barca qualche particella di fosforo si staccò e galleggiò lentamente verso poppa. “Si sta stancando, o forse sta riposando”, - disse il vecchio. “Ora bisogna che mangi questo delfino e mi riposi e dorma un po'.” Sotto le stelle, e nella notte che diventava sempre più fredda, mangiò metà di un filetto di delfino e un pesce volante, sventrato e senza testa. “Com'è buono il delfino da mangiare cotto”, - disse. “E com'è cattivo quand'è crudo. Non ritornerò mai più in barca senza sale o arancio.” Se avessi un po' di cervello avrei versato un po' d'acqua sulla prua e asciugando avrebbe fatto il sale, pensò. Ma era quasi il tramonto, quando il delfino ha abboccato. Però non mi sono preparato abbastanza. Ma l'ho masticato bene, e non sono nauseato. Il cielo si stava rannuvolando verso est e l'una dopo l'altra tutte le stelle note scomparvero. Pareva adesso che il vecchio procedesse in un gran canyon di nuvole e il vento era calato. “Fra tre o quattro giorni sarà cattivo tempo”, - disse. “Ma domani e dopodomani non ancora. Equipaggiati adesso per dormire, vecchio, finché il pesce è calmo e tranquillo.” Tenne la lenza tesa nella mano destra e poi spinse la coscia contro la mano destra mentre appoggiava tutto il peso contro il legno della prua. Poi fece passare la lenza un po' più in basso sulle spalle e la strinse con la mano sinistra. La mano destra resisterà finché è sorretta, pensò. Se nel sonno si abbandona, la mano sinistra mi sveglierà quando la lenza incomincerà a svolgersi. È dura per la mano destra. Ma lei è abituata a soffrire. Anche se dormo venti minuti o mezz'ora non importa. Si distese in avanti rannicchiandosi contro la lenza con tutto il corpo, appoggiando tutto il peso alla mano destra, e si addormentò. Non sognò i leoni ma una gran scuola di focene che si stendevano per otto o dieci miglia ed era il periodo del loro accoppiamento e balzavano alte nell'aria e si rituffavano in acqua prima che questa si fosse rinchiusa sul loro salto. Poi sognò di essere al villaggio nel suo letto e c'era la tramontana e faceva molto freddo e gli si era addormentato il braccio destro perché la testa vi si era appoggiata usandolo da cuscino. Poi incominciò a sognare la lunga spiaggia gialla e vide il primo leone giungervi sul fare del buio e poi giunsero gli altri leoni e lui stava col mento sul legno della prua dove la nave giaceva ancorata sotto il vento serale che veniva dal mare e aspettava di vedere se sarebbero venuti altri leoni ed era felice. La luna si era levata da un pezzo, ma il vecchio continuò a dormire e il pesce continuò a tirare con regolarità e la barca procedette nella galleria di nuvole. Si svegliò al sobbalzo del pugno destro che lo colpì in faccia mentre la lenza si svolgeva scottante nella mano destra. Non aveva sensibilità nella mano sinistra, ma frenò più che poté con la destra e la lenza filò via in fretta. Finalmente la mano sinistra trovò la lenza e il vecchio si fece forza contro la lenza che ora gli scottò la schiena e la mano sinistra, e la mano sinistra resse tutto il peso, che le produsse un taglio profondo. Il vecchio si voltò a guardare le duglie che si svolgevano dolcemente. Proprio in quel momento, il pesce saltò in una grande esplosione d'acqua e poi ricadde pesante. Poi tornò a saltare più e più volte, e la barca andava veloce nonostante la lenza che continuava a svolgersi e il vecchio continuava a portare la tensione al punto massimo. Era stato tirato giù contro la prua con la faccia nella fetta di delfino e non si poteva muovere. E questo che stavamo aspettando, pensò. Dunque ora godiamocelo. Fagliela pagare la lenza, pensò. Se vuole più lenza, fagliela pagare. Non vedeva i salti del pesce, ma udiva il fendersi dell'oceano e il tonfo del pesce quando cadeva. La velocità della lenza gli faceva tagli profondi nelle mani, ma lui aveva sempre saputo che questo sarebbe successo e si sforzò di esporre ai tagli le parti callose e di non lasciar scivolare la lenza sul palmo della mano e di non tagliarsi le dita. Se ci fosse il ragazzo bagnerebbe le duglie, pensò. Sì. Se ci fosse il ragazzo. Se ci fosse il ragazzo. La lenza continuò a svolgersi e svolgersi e svolgersi, ma ora stava rallentando e il vecchio costringeva il pesce a conquistarsene ogni centimetro. Ora alzò la testa dal legno, fuori dalla fetta di pesce dove gli era affondata la guancia. Poi si alzò in ginocchio, e poi si alzò lentamente in piedi. Continuava a lasciar scorrere la lenza ma sempre più lentamente. Si sforzò di andare indietro fin dove potesse sentire col piede le duglie che non riusciva a vedere. Vi era ancora molta lenza, e ora il pesce doveva tirare l'attrito di tutta la lenza nuova nell'acqua. Sì, pensò. E ora ha già fatto più di una decina di balzi e si è riempito d'aria le sacche della schiena e non può andare a morire a fondo senza lasciarsi tirare a galla. Presto incomincerà a rotare e allora devo mettermi al lavoro. Chissà cos'è stato a farlo balzare così d'improvviso? Che sia stata la fame, a renderlo così disperato? O che l'abbia spaventato qualcosa nella notte? Forse ha provato una paura improvvisa. Ma era un pesce così calmo, forte, e pareva così pieno di coraggio e di fiducia. È strano. “È meglio che pensi tu ad avere coraggio e fiducia, vecchio”, - disse. “Lo stai tenendo di nuovo, ma non riesci a ricuperare la lenza. Presto deve mettersi a rotare.” Il vecchio ora lo teneva con la sinistra e con le spalle e si curvò a raccogliere un po' d'acqua nella mano destra per togliersi dalla faccia la carne schiacciata del delfino. Aveva paura che potesse fargli venir nausea e allora avrebbe vomitato e avrebbe perso le forze. Quando si fu pulito la faccia si lavò la mano destra nell'acqua, e poi la lasciò nell'acqua salata mentre guardava spuntare la prima luce che precede l'alba. È diretto quasi verso est, pensò. Questo significa che è stanco e segue la corrente. Presto dovrà mettersi a rotare. Allora incomincia il lavoro vero. Quando decise che la mano destra era rimasta abbastanza nell'acqua, la tirò fuori e la guardò. “Non va così male”, - disse. “E il dolore non deve avere importanza per un uomo.” Impugnò la lenza con cautela in modo che non si incastrasse nei tagli recenti e spostò il peso in modo da poter immergere nel mare la mano sinistra dall'altro lato della barca. “Non te la sei cavata tanto male, per essere quel che sei”, - disse alla mano sinistra. “Ma c'è stato un momento che non sono riuscito a trovarti.” Perché non sono nato con due mani buone? pensò. Forse è colpa mia che questa non l'ho addestrata bene. Ma Dio sa che ha avuto abbastanza occasioni per imparare. Durante la notte, però, non è andata tanto male, e il crampo le è venuto una volta soltanto. Se le ritorna il crampo la lascio tagliar via dalla lenza. Poi pensò che si accorgeva di non esser più lucido e pensò che doveva mangiare ancora un po' di delfino. Ma non posso, si disse. È meglio essere stordito che perdere la forza per la nausea. E so che non potrei evitarla se mangio, perché vi ho tenuto dentro la faccia. Lo conserverò in caso di bisogno finchè diventa cattivo. Ma è troppo tardi per cercare di acquistar forza nutrendomi. Che stupido, si disse. Mangia l'altro pesce volante. Era lì, pulito e pronto, e il vecchio lo prese con la mano sinistra e lo mangiò masticando con cautela le ossa e mangiandolo tutto fino alla coda. E più nutriente di qualunque altro pesce, pensò. Almeno del genere di nutrimento di cui ho bisogno. Ora ho fatto quello che potevo, pensò. Si metta pure a girare e incominci pure la lotta. Quando il pesce incominciò a girare il sole si stava levando per la terza volta da quando il vecchio aveva preso il mare. Non fu dall'inclinazione della lenza che il vecchio si accorse che il pesce stava girando. Era troppo presto, per questo. Ma sentì che la pressione della lenza diminuiva lievemente, e incominciò a tirarla piano con la mano destra. Si irrigidì come prima, ma proprio quando giunse al punto in cui avrebbe potuto spezzarsi, incominciò a cedere. Il vecchio fece passare le spalle e la testa sotto la lenza e incominciò a tirarla con regolarità e cautela. Usò tutt'e due le mani in un movimento oscillante e cercò di tirare più che poteva col corpo e le gambe. Le vecchie gambe e le vecchie spalle rotarono nell'oscillazione. “È un giro molto largo”, - disse. “Ma sta girando.” Poi la lenza non cedette più e il vecchio la tenne finché ne vide schizzar fuori le gocce sotto il sole. Poi ripartì e il vecchio si inginocchiò e la lasciò ritornare nell'acqua buia. “È nel punto più lontano del giro”, - disse. “Devo tenerlo più che posso. Lo sforzo gli accorcerà sempre di più il giro. Forse tra un'ora riesco a vederlo. Ora devo domarlo e poi devo ucciderlo.” Ma il pesce continuò a girare lentamente e due ore dopo il vecchio era bagnato di sudore e aveva le ossa molto stanche. Ma ora i giri erano molto più stretti e dall'inclinazione della lenza si capiva che il pesce era salito con regolarità mentre nuotava. Da un'ora il vecchio si vedeva macchie nere davanti agli occhi e il sudore gli copriva di sale gli occhi e gli copriva di sale la ferita sull'occhio e sulla fronte. Non aveva paura delle macchie nere. Erano normali, data la tensione a cui stava sottoponendo la corda. Però due volte si era sentito debole e gli era venuto il capogiro, e questo lo aveva preoccupato. “Non posso tradire me stesso e morire con un pesce come questo”, - disse. “Ora che sta venendo così bene, Dio mi aiuti a resistere. Dirò cento Pater Noster e cento Ave Marie. Ma non posso dirle adesso.” Considerale come dette, pensò. Le dirò più tardi. Proprio in quel momento sentì sobbalzare in uno scrollone improvviso la lenza stretta fra le due mani. La lenza era tagliente e dura e pesante. Sta colpendo il bozzello con la spada, pensò. C'era da aspettarselo. Doveva farlo. Però questo lo farà saltare e ora preferirei che continuasse a girare. I salti erano necessari perché aspirasse l'aria. Ma ora ogni salto gli può allargare l'apertura della ferita dell'amo e farlo liberare dall'amo. “Non saltare, pesce”, - disse. “Non saltare.” Il pesce colpì parecchie altre volte il bozzello e ogni volta che scrollò la testa il vecchio gli lasciò un po' di lenza. Non devo fargli aumentare il dolore, pensò. Il mio non importa. Posso controllarlo. Ma il suo dolore può farlo diventare matto. Dopo un po' il pesce smise di battere il bozzello e ricominciò a girare lentamente. Il vecchio ora ricuperava con regolarità la lenza. Ma si sentiva di nuovo debole. Prese un po' d'acqua di mare con la mano sinistra e se la mise sulla testa. Poi ne prese ancora un po' e si stropicciò la nuca. “Non ho crampi”, - disse. “Tra poco sarà qui, e ce la farò. Devo farcela. Non se ne parla neanche.” Si inginocchiò contro la prua e per un momento si fece passare di nuovo la lenza sulla schiena. Ora mi riposo mentre allarga il giro e poi mi alzo e lo lavoro mentre si avvicina, decise. Era una gran tentazione quella di riposarsi a prua e lasciare che il pesce facesse un giro da sé senza ricuperare la lenza. Ma quando la tensione rivelò che il pesce aveva svoltato per dirigersi verso la barca, il vecchio si alzò in piedi e incominciò le rotazioni e le oscillazioni che riportarono sulla barca tutta la lenza ricuperata. Sono più stanco di quanto lo sia stato mai, pensò, e ora si alza l'aliseo. Ma questo sarà utile per farlo accostare. Ne ho molto bisogno. Mi riposerò al prossimo giro mentre si allontana, si disse. Mi sento molto meglio. Poi in altre due o tre svolte sarà finita. Il cappello di paglia gli era ricaduto in basso sulla nuca e il vecchio si lasciò sprofondare a prua sotto la spinta della lenza mentre sentiva girare il pesce. Ora lavora, pesce, pensò. Ti prenderò alla svolta. Il mare si era alzato parecchio. Ma c'era un'aria da bel tempo e il vecchio ne aveva bisogno per ritornare a casa. “Basterà che mi diriga a sud e a ovest”, - disse. “Non ci si perde mai in mare, e l'isola è lunga.” Fu alla terza svolta che vide il pesce per la prima volta. Lo vide dapprima come un'ombra scura che impiegò tanto tempo a passare sotto la barca da non far credere al vecchio che potesse essere tanto lunga. “No”, - disse - “non può essere così grosso.” Ma lo era, così grosso, e alla fine del giro salì alla superficie a trenta metri soltanto di distanza e il vecchio gli vide la coda fuori dell'acqua. Era più alta della lama di una grossa falce e di un color lavanda molto pallido sull'acqua azzurro scuro. Tornò a immergersi e mentre il pesce nuotava poco sotto la superficie, il vecchio vide la mole enorme e le strisce viola che lo cingevano. La pinna dorsale era abbassata e quelle pettorali enormi erano spalancate. In questo giro il vecchio riuscì a vedere l'occhio del pesce e le due remore grigie che gli nuotavano attorno. A volte gli si attaccavano addosso. A volte si scostavano. A volte nuotavano disinvolte nella sua ombra. Erano tutte e due lunghe quasi un metro e quando nuotavano in fretta sfrecciavano il corpo come anguille. Il vecchio ora sudava per qualcosa che non era soltanto il sole. A ogni svolta calma, placida, del pesce ricuperava la lenza, ed era certo che in altre due svolte sarebbe riuscito a lanciare la fiocina. Ma devo farlo venire vicino, vicino, vicino, pensò. Non devo mirare alla testa. Devo prendere il cuore. “Sii calmo e forte, vecchio”, - disse. Al giro successivo la schiena del pesce si scoprì ma era un po' troppo lontano dalla barca. Al giro successivo era ancora troppo lontano ma era più scoperto e il vecchio era certo che ricuperando ancora un po' di lenza l'avrebbe avuto vicino. Aveva attrezzato la fiocina da molto tempo e la duglia di sagola leggera era in una cesta rotonda e l'estremità era data di volta sulla bitta della prua. Il pesce ora si avvicinava nel suo giro calmo e bello e muoveva soltanto la grande coda. Il vecchio tirò più che poté per avvicinarlo. Per un attimo il pesce si piegò un poco sul fianco. Poi si raddrizzò e incominciò un altro giro. “L'ho fatto muovere”, - disse il vecchio. “Allora l'ho fatto muovere.” Si sentì di nuovo debole, ora, ma mantenne sul grande pesce tutta la tensione che poté. L'ho fatto muovere, pensò. Forse questa volta riesco a prenderlo. Tirate, mani, pensò. Forza, gambe. Resisti per me, testa. Resisti per me. Non mi hai mai lasciato. Questa volta lo prendo. Ma quando sferrò il suo attacco, iniziandolo un bel tratto prima che il pesce si avvicinasse e tirando con tutta la sua forza, il pesce si piegò un poco e poi si raddrizzò e si allontanò. “Pesce”, - disse il vecchio. “Pesce, dovrai pur morire in ogni caso. Vuoi uccidere anche me?” Così non si combina niente, pensò. Aveva la bocca troppo asciutta per parlare, ma ora non riusciva ad arrivare a prendere la bottiglia dell'acqua. Devo farlo venir vicino questa volta, pensò. Non ce la farò con molte altre svolte. Sì, ce la farai, disse a se stesso. Ce la farai sempre. Alla prossima svolta l'aveva quasi preso. Ma di nuovo il pesce si rizzò e si allontanò lentamente. Mi stai uccidendo, pesce, pensò il vecchio. Ma hai il diritto di farlo. Non ho mai visto nulla di grande e bello e calmo e nobile come te, fratello. Vieni a uccidermi. Non m'importa, chi sarà a uccidere l'altro. Ora stai perdendo la testa, pensò. Devi tenere la testa lucida. Tieni la testa lucida e fa vedere come sa soffrire un uomo. O un pesce, penso. “Ritorna in te”, - disse con una voce che riuscì a udire soltanto a stento. “Ritorna in te.” Altre due volte avvenne lo stesso alle svolte del pesce. Non lo so, pensò il vecchio. Ogni volta era stato sul punto di sentirsi svenire. Non lo so. Ma tenterò ancora una volta. Tentò ancora una volta e quando voltò il pesce si sentì svenire. Il pesce si raddrizzò e si allontanò lentamente sventolando in aria la grande coda. Tenterò di nuovo, promise il vecchio, nonostante adesso le mani fossero molli e gli occhi vedessero soltanto tra i lampi. Tentò di nuovo e accadde lo stesso. Ecco, pensò, e si sentì svenire prima di cominciare; tenterò di nuovo. Raccolse tutto il dolore e ciò che gli restava della sua forza e dell'orgoglio da tanto tempo sopito e lo pose contro l'agonia del pesce e il pesce si accostò al suo fianco e nuotò con garbo sul fianco sfiorando quasi col rostro il fasciame della barca e si avviò a oltrepassarla, lungo, profondo, largo, argenteo e striato di viola e interminabile nell'acqua. Il vecchio lasciò cadere la lenza e vi posò sopra il piede e alzò la fiocina più alta che poté e la lanciò con tutta la sua forza, e la nuova forza che aveva allora trovato, nel fianco del pesce, dietro alla grande pinna pettorale che si alzava nell'aria giungendo all'altezza del petto dell'uomo. Sentì il ferro conficcarsi e vi si appoggiò sopra e lo immerse più profondamente e poi lo spinse con tutto il peso del suo corpo. Allora il pesce tornò in vita, recando in sé la sua morte, e si librò alto fuori dell'acqua mostrando tutta la grande lunghezza e larghezza e tutta la sua forza e la sua bellezza. Parve restare sospeso nell'aria sul vecchio nella barca. Poi precipitò in acqua in un crollo che coprì di spuma il vecchio e tutta la barca. Il vecchio si sentiva debole e nauseato, e non riusciva a vedere. Ma districò la lenza della fiocina e la lasciò scorrere lentamente tra le mani sanguinanti, e, quando riuscì a vedere, vide che il pesce era sul dorso con la pancia argentea riversa. L'asta della fiocina sporgeva dalla spalla del pesce formando un angolo e il mare si colorava del sangue rosso che gli sgorgava dal cuore. Dapprima fu scuro come una secca nell'acqua azzurra, che era profonda più di un il pesce era argenteo e immobile e fluttuava con le onde. Il vecchio guardò attentamente con quel po’ di vista che gli restava. Poi diede doppia volta alla lenza della fiocina sulla bitta a prua e si prese la testa fra le mani. “ Tieni la testa lucida ”, - disse appoggiandosi al legno a prua. “ Sono un vecchio stanco. Ma ho ucciso questo pesce che è mio fratello e ora devo fare il lavoro da schiavo.” Ora devo preparare la gassa e il cavo per attraccarlo alla barca, pensò. Anche se fossimo in due e per issarlo a bordo la barca si riempisse d’acqua e dopo la si dovesse sgottare, il pesce non ci starebbe dentro. Devo preparare tutto, poi avvicinarlo, attraccarlo bene e armare l’albero e salpare verso terra. Incominciò a tirare il pesce per metterlo affiancato alla barca in modo da poter passare una lenza attraverso le branchie e la bocca e legargli la testa e sentirlo. È la mia fortuna, pensò. Ma non è per questo che voglio sentirlo. Credo di aver già sentito il suo cuore, pensò. Quando ho spinto l'asta della fiocina la seconda volta. Ora accostalo e legalo e passagli la gassa sulla coda e un'altra sulla pancia per fissarlo alla barca. “Al lavoro, vecchio”, - disse. Bevve un sorso molto piccolo d'acqua. “C'è molto lavoro da schiavo da fare, ora che la lotta è finita.” Alzò gli occhi a guardare il cielo e poi li abbassò sul suo pesce. Guardò il sole attentamente. Non è passato da molto il mezzogiorno, pensò. E l'aliseo si sta alzando. Ormai le lenze non hanno più importanza. Il ragazzo e io le impiomberemo a casa. “Su, pesce”, - disse. Ma il pesce non venne. Invece rimase disteso rollando nel mare e il vecchio gli si accostò con la barca. Quando fu alla stessa altezza del pesce, e ne ebbe appoggiato la testa alla prua, non poté credere che fosse così grosso. Ma slegò il cavo della fiocina dalla bitta, lo passò attraverso le branchie del pesce facendoglielo uscire dalla mascella, lo fece girare una volta intorno alla spada, poi infilò il cavo nell'altra branchia, fece un altro giro intorno al rostro e annodò il doppio cavo, e gli diede volta sulla bitta a prua. Poi tagliò il cavo e andò a poppa a fissare la coda. Il pesce era diventato d'argento, da argento e viola che era, e le strisce avevano lo stesso color violetto pallido della coda. Erano più larghe di una mano d'uomo tenuta a dita distese e l'occhio del pesce pareva staccato come gli specchi in un periscopio o un santo in una processione. “Era l'unico modo per ucciderlo”, - disse il vecchio. Si sentiva meglio dopo aver bevuto e sapeva che non sarebbe svenuto e aveva la testa lucida. Pesa quasi sette quintali così com'è, pensò. Forse di più. E se riuscissi a ricavarne i due terzi a sessanta cents al chilo? “Ho bisogno di una matita per fare il conto”, - disse. “Non ho la testa abbastanza lucida. Ma credo che il grande Di Maggio sarebbe orgoglioso di me, oggi. Non avevo il soprosso. Ma le mani e la schiena mi fanno male davvero.” Chissà che cos'è un soprosso, pensò. Forse l'abbiamo tutti senza saperlo. Legò il pesce a prua e a poppa e al banco centrale. Era così grosso che fu come legare una barca più grossa affiancandola alla sua. Tagliò un pezzo di lenza e legò la mandibola inferiore del pesce al rostro in modo che non gli si aprisse la bocca e potessero navigare nel migliore dei modi. Poi armò l'albero e la vela rattoppata si rizzò, la barca si mise in moto e, mezzo sdraiato a poppa, il vecchio salpò in direzione sud-ovest. Non aveva bisogno di una bussola per sapere dov’era il sud-ovest. Aveva bisogno soltanto di sentire l'aliseo e la pressione della vela. Bisognerà che metta in acqua una lenza con un amo a cucchiaio per cercar di procurarmi qualcosa da mangiare e da succhiare. Ma non riuscì a trovare il cucchiaio e le sardine erano marce. Così prese con la gaffa un po' di alghe gialle mentre passavano e le scrollò in modo che i gamberetti che vi erano attaccati cadessero sul fasciame della barca. Ve n'erano più di dodici e saltarono scalciando come pulci di mare. Il vecchio staccò loro la testa col pollice e l'indice e li mangiò masticando il guscio e la coda. Erano molto minuscoli, ma sapeva che erano nutrienti e avevano un buon sapore. Il vecchio aveva ancora due sorsi d'acqua nella bottiglia e ne bevve mezzo sorso dopo aver mangiato i gamberetti. La barca procedeva bene tenuto conto del carico e il vecchio la pilotava tenendo la barra del timone sotto il braccio. Vedeva il pesce e gli bastava guardarsi le mani e sentirsi la schiena contro la poppa per sapere che tutto era veramente avvenuto e non era un sogno. Una volta, quando verso la fine stava così male, aveva pensato che forse era un sogno. voi quando aveva visto il pesce uscire dall'acqua e restare sospeso, immobile, nel cielo prima di cadere, era stato certo che qualcosa di molto strano stava succedendo, e non poteva crederci. Poi non aveva più veduto distintamente, anche se ora vedeva di nuovo come sempre. Ora sapeva che c'era il pesce e le mani e la schiena non erano un sogno. Le mani guariscono in fretta, pensò. Ho fatto uscire il sangue vivo e l'acqua salata le curerà. L'acqua scura del vero golfo è il più grande medico che esista. La sola cosa che devo fare è di conservare la mente lucida. Le mani hanno fatto il loro dovere e navighiamo bene. Con la bocca chiusa e la coda ritta, navighiamo come fratelli. Poi la mente incominciò a confondersi un poco, e il vecchio pensò, è lui che porta me o sono io che porto lui? Se lo rimorchiassi a poppa non ci sarebbero dubbi. Neanche se il pesce fosse sulla barca, senza più dignità, ci sarebbero dubbi. Ma stavano navigando insieme legati a fianco a fianco e il vecchio pensava, sia pure lui che porta me, se gli fa piacere. Ho vinto io soltanto con l'inganno, e lui non voleva farmi del male. Navigavano bene e il vecchio immerse le mani nell’acqua salata e cerco di conservare la mente lucida. Vi erano alti cumuli di nubi e abbastanza cirri sopra di essi, per cui il vecchio sapeva che il vento sarebbe durato tutta la notte. Il vecchio guardava continuamente il pesce per essere certo che fosse vero. Passò un'ora prima che il primo pescecane lo azzannasse. Il pescecane non fu un caso. Era salito dal fondo del mare quando la nube scura di sangue si era allargata e dispersa nel mare profondo un miglio. Era salito così in fretta e con così assoluta mancanza di cautela che aveva aperto la superficie dell'acqua azzurra e si era esposto al sole. Poi era ricaduto in mare e aveva trovato la scia, e aveva incominciato a nuotare nella direzione tenuta dalla barca e dal pesce. A volte perdeva la scia. Ma la ritrovava sempre, o almeno ne trovava le tracce, e nuotava veloce e resistente nella direzione giusta. Era un grossissimo pescecane Mako fatto per nuotare veloce come il pesce più veloce del mare ed era bello in ogni sua parte tranne nelle mascelle. La schiena era azzurra come quella di un pescespada, e la pancia era argentea e la pelle era liscia ed elegante. Aveva le forme di un pescespada a parte le mascelle enormi, serrate adesso che nuotava in fretta, appena sotto la superficie con l'alta pinna dorsale che fendeva l'acqua senza vibrazioni. Dentro il doppio labbro chiuso dalle mascelle, tutte le otto file di denti erano inclinate verso l'interno. Non avevano la solita forma piramidale che hanno i denti di quasi tutti i pescecani. Avevano la forma di dita umane contorte come artigli. Erano lunghi quasi come le dita del vecchio e avevano bordi taglienti affilati come rasoi su tutt'e due i lati. Questo era un pesce fatto per nutrirsi di tutti i pesci del mare tanto veloci e forti e ben armati da non conoscere altri nemici. Ora all'odore più fresco della scia accelerò l'andatura e l'azzurra pinna dorsale fendé l'acqua. Quando il vecchio lo vide giungere capì che questo era un pescecane che non aveva la minima paura e avrebbe fatto esattamente tutto quello che voleva. Preparò la fiocina e diede di volta alla sagola mentre osservava il pescecane avvicinarsi. La sagola era corta perché mancava il pezzo tagliato per legare il pesce. Il vecchio ora aveva la mente lucida e pronta ed era ben deciso, ma aveva poca speranza. Era troppo bello per durare, pensò. Diede un'altra occhiata al grande pesce mentre guardava il pescecane che si avvicinava. Potrebbe anche essere stato un sogno, pensò. Non posso impedirgli di colpirmi ma forse riesco a prenderlo. Dentuso, pensò. Maledetta tua madre. Il pescecane si accostò alla poppa e quando lo colpì il vecchio vide la bocca che si apriva e gli strani occhi e il colpo tintinnante dei denti quando si immersero nella carne poco sopra la coda. La testa del pescecane era fuori dell'acqua e la schiena ne sporgeva e il vecchio udì il rumore della pelle e della carne che si lacerava nel grosso pesce, quando scagliò la fiocina nella testa del pescecane in un punto in cui la linea tra gli occhi si intersecava con la linea che gli saliva dal naso. Queste linee non esistevano. Esistevano soltanto la pesante affilata testa azzurra e i grandi occhi e le tintinnanti mascelle sporgenti che inghiottivano ogni cosa. Ma quello era il punto in cui si trovava il cervello e il vecchio lo colpì. Lo colpì con le sanguinanti mani molli, lanciando una buona fiocina con tutta la sua forza. Colpì senza speranza ma con decisione e totale malevolenza. Il pescecane si rivoltò e mostrò al vecchio l'occhio senza vita, e poi si rivoltò di nuovo avvolgendosi in due giri di sagola. Il vecchio sapeva che era condannato, ma non si sarebbe rassegnato. Poi, rivoltato sulla schiena, con la coda sferzante e le mascelle tintinnanti, il pescecane sbatté l'acqua come un motoscafo. L'acqua era bianca sotto i colpi della coda e per tre quarti il corpo era visibile sull'acqua quando la sagola si tese, vibrò e si spezzò. Il pescecane rimase disteso un momento sulla superficie, e il vecchio lo guardò. Poi affondò lentamente. “Si è portato via quasi venti chili”, - disse il vecchio, ad alta voce. Si è portato via anche la fiocina e tutta la sagola, pensò, e ora il mio pesce perde di nuovo sangue e ne verranno degli altri. Non gli piaceva più guardare il pesce da quando questo era stato mutilato. Quando il pesce era stato colpito fu come se fosse stato colpito lui stesso. Ma ho ucciso il pescecane che ha colpito il mio pesce, pensò. Ed era il dentuso più grosso che abbia mai visto. E Dio sa che ne ho visto dei grossi. Era troppo bello per durare, pensò. Ora vorrei che fosse stato un sogno e che non avessi preso il pesce e fossi solo nel mio letto coi giornali. “Ma l'uomo non è fatto per la sconfitta”, - disse. “L'uomo può essere ucciso, ma non sconfitto.” Però mi dispiace di aver ucciso questo pesce, pensò. Ora comincia il brutto, e non ho neanche la fiocina. Il dentuso è crudele e capace e forte e intelligente. Ma io sono stato più intelligente di lui. Forse no, pensò. Forse ero soltanto armato meglio. “Non pensare, vecchio”, - disse ad alta voce. “Naviga in questa direzione e preparati a quel che avverrà.” Ma non posso non pensare, pensò. Perché non mi resta altro. Questo è il baseball. Chissà se sarebbe piaciuto al grande Di Maggio il modo come l’ho colpito nel cervello? Non è stata una gran cosa, pensò. Chiunque avrebbe potuto farlo. Ma credi che le mie mani fossero un handicap importante come il soprosso? Non saprei dire. Non ho mai avuto niente di male ai calcagni, tranne quella volta che la pastinaca mi ha punto quando le sono passato addosso nuotando e mi ha paralizzato dal ginocchio in giù e mi ha fatto un male insopportabile. “Pensa a qualcosa di allegro, vecchio”, - disse. “Ogni minuto che passa sei più vicino a casa. Vai più in fretta, ora che hai perso venti chili.” Sapeva benissimo ciò che sarebbe successo quando fosse giunto nella parte più interna della corrente. Ma non c'era niente da fare per il momento. “Sì, c'è qualche cosa”, - disse ad alta voce. “Posso legare il coltello all'impugnatura di un remo.” Così fece, tenendosi la barra del timone sotto il braccio e la draglia della vela sotto il piede. “Ecco”, - disse. “Sono ancora vecchio. Ma non sono disarmato.” Ora il vento era fresco e la barca procedeva bene. Il vecchio guardava soltanto la parte anteriore del pesce e gli ritornò qualche speranza. È stupido non sperare, pensò. E credo che sia peccato. Non pensare ai peccati, pensò. Ci sono abbastanza problemi adesso, senza i peccati. E poi non riesco a capirli. Non riesco a capirli e non sono certo di credervi. Forse è stato un peccato uccidere il pesce. Credo proprio che sia così, anche se l'ho fatto per vivere e per nutrire molta gente. Ma allora tutto è un peccato. Non pensare ai peccati. È troppo tardi per pensarci e c'è chi è pagato apposta per farlo. Lascia che ci pensino loro. Tu sei nato per fare il pescatore e il pesce è nato per fare il pesce. San Pedro era un pescatore, e anche il padre del grande Di Maggio. Ma gli piaceva pensare a tutte le cose che gli capitavano e poiché non c'era niente da leggere e non aveva la radio, pensò molto e continuò a pensare al peccato. Non hai ucciso il pesce soltanto per vivere e per venderlo come cibo, pensò. L'hai ucciso per orgoglio e perché sei un pescatore. Gli volevi bene quand'era vivo e gli hai voluto bene dopo. Se gli si vuol bene non è un peccato ucciderlo. O lo è ancora di più? “Tu pensi troppo, vecchio”, - disse ad alta voce. Ma ti ha fatto piacere uccidere il dentuso, pensò. Vive sui pesci vivi come te. Non è soltanto un divoratore di cadaveri o un mangiatutto come certi pescecani. È bello e nobile e non conosce paura di nulla. “L'ho ucciso per autodifesa”, - disse il vecchio ad alta voce. “E l'ho ucciso bene.” E poi, pensò, tutti uccidono tutti gli altri in un modo o nell'altro. La pesca mi uccide proprio come mi dà da vivere. È il ragazzo a darmi da vivere, pensò. Non devo esagerare a ingannare me stesso. Si sporse dal fianco della barca e staccò un pezzo di carne dal pesce nel punto in cui il pescecane l'aveva azzannato. Lo masticò e ne apprezzò la qualità e il sapore. Era sodo e sugoso, come l'altra carne, ma non era rosso. Non era coriaceo e sapeva che se ne sarebbe ricavato il prezzo più alto sul mercato. Ma non vi era modo di tenere la scia fuori dell'acqua, e il vecchio sapeva che stava per giungere un momento molto brutto. Il vento era regolare. Aveva piegato un poco di più verso nord-est e il vecchio sapeva che questo significava che non sarebbe cessato. Il vecchio guardava davanti a sé ma non riuscì a scorgere vele né riuscì a scorgere scafo o fumo di qualche nave. Vi erano soltanto i pesci volanti che salivano dalla prua volando lungo i due fianchi e le chiazze gialle delle alghe. Non riuscì a scorgere neanche un uccello. Era in navigazione da due ore, riposando a poppa e masticando ogni tanto un pezzetto di carne del marlin, cercando di riposare e di restare forte quando vide uno dei due pescecani. “Ay”, - disse ad alta voce. Non esiste traduzione per questa parola e forse non è che un rumore come potrebbe emettere involontariamente chi si sentisse trafiggere le mani da un chiodo piantato nel legno. “Galanos”, - disse ad alta voce. Ora aveva visto la seconda pinna salire dietro alla prima e li aveva identificati dalla bruna pinna triangolare e dai movimenti a sventola della coda. Avevano trovato la scia ed erano eccitati e nella stupidità della loro grande fame dall'eccitamento continuavano a perdere e ritrovare la scia. Ma continuavano a stare vicini. Il vecchio diede volta alla draglia e bloccò la barra del timone. Poi afferrò il remo sul quale aveva legato il coltello. Lo sollevò più leggermente che poté perché le mani si ribellarono al dolore. Poi le aprì e le chiuse leggermente sul remo per scioglierle. Le richiuse saldamente in modo che ora accettassero il dolore e non gli venissero meno e osservò i pescecani che si avvicinavano. Ora poteva vederne la larga testa appiattita, appuntita come una pala e le larghe pinne pettorali dalla sommità bianca. Erano pescecani odiosi, puzzolenti, divoratori di cadaveri oltre che assassini e quando avevano fame azzannavano un remo o il timone delle barche. Erano questi pescecani che tagliavano le gambe e le natatoie delle tartarughe quando le tartarughe dormivano alla superficie e azzannavano un uomo in mare, se avevano fame, anche se l'uomo non aveva addosso odore di sangue di pesce né viscosità di pesce. “Ay”, - disse il vecchio. “Galanos. Venite, galanos.” Vennero, ma non vennero com'era venuto il Mako. Uno si voltò e scomparve sotto la barca e il vecchio sentì la barca tremare per gli strattoni che diede al pesce. L'altro guardò il vecchio dalle fessure degli occhi gialli e poi si avvicinò in fretta col semicerchio delle mandibole spalancate per azzannare il pesce nel punto in cui era stato colpito. La linea era chiaramente visibile in cima alla testa bruna e giù dove il cervello si congiungeva al midollo spinale e il vecchio spinse il coltello legato al remo nel punto di congiuntura, lo ritirò, e tornò a immergerlo negli occhi gialli da gatto dello squalo. Lo squalo lasciò la presa del pesce e affondò, inghiottendo mentre moriva ciò che aveva rubato. La barca era ancora scrollata dalla rovina che l'altro squalo stava compiendo sul pesce, e il vecchio mollò la draglia in modo che la barca bordeggiando facesse uscire lo squalo da sotto lo scafo. Quando vide lo squalo si sporse dalla barca e lo colpì. Colse soltanto la carne e la pelle era dura e il coltello vi penetrò appena. La botta non gli fece male soltanto alle mani ma anche alla spalla. Ma lo squalo salì in fretta scoprendo la testa e il vecchio lo colse esattamente nel centro della testa appiattita nel momento in cui il naso uscì dall'acqua e si posò sul pesce. Il vecchio ritirò la lama e tornò a colpire lo squalo esattamente nello stesso punto. Lo squalo rimase attaccato al pesce con le mascelle chiuse e il vecchio lo pugnalò nell'occhio sinistro. Lo squalo continuò a tenere la presa. “No?”, - disse il vecchio, e spinse la lama tra le vertebre e il cervello. Ora il colpo era facile e sentì la cartilagine che si apriva. Il vecchio rovesciò il remo e mise la lama tra le mascelle dello squalo per aprirle. Girò la lama e quando lo squalo affondò disse: “Vai pure, galano. Affonda per un miglio. Va a trovare il tuo amico, se non era tua madre”. Il vecchio pulì la lama del coltello e posò il remo. Poi riprese la draglia e la vela si gonfiò e la barca ritornò nella direzione giusta. “Devono averne preso più di un quarto, e della parte migliore”, - disse ad alta voce. “Come vorrei che fosse un sogno e che non avesse mai abboccato. Perdonami, pesce. Così diventa tutto sbagliato.” Si interruppe e non volle guardare il pesce, ora. Senza sangue e risciacquato aveva il colore del fondo d'argento di uno specchio e le strisce continuavano a essere visibili. “Non avrei dovuto andare così al largo”, - disse. “Né per te né per me. Perdonami, pesce.” Su, disse a se stesso. Guarda la legatura del coltello e vedi che non si sia strappata. Poi tieni la mano in ordine perché il più deve ancora avvenire. “Avrei bisogno di una pietra, per il coltello” disse il vecchio dopo avere esaminato la legatura sull'impugnatura del remo. “Avrei dovuto portare una pietra.” Avresti dovuto portare molte cose, pensò. Ma non le hai portate, vecchio. Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai. “Mi dài un po' troppi buoni consigli”, - disse ad alta voce. “Mi hai seccato.” Tenne la barra del timone sotto il braccio e immerse tutt'e due le mani nell'acqua mentre la barca procedeva. “Dio sa quanto ne ha preso quell'ultimo”, - disse. “Ma ora la barca è molto più leggera.” Non voleva pensare alla pancia mutilata del pesce. Sapeva che ogni strattone dello squalo significava un pezzo di carne strappata e che ora il pesce lasciava nel mare una scia larga come una strada maestra a tutti gli squali. Era un pesce che bastava a mantenere un uomo per tutto l'inverno, pensò. Non ci pensare. Riposati e cerca di tenerti le mani in forma per difendere quanto ne è rimasto. L'odore di sangue delle mie mani non importa più ormai, con tutta quella scia nell'acqua. E poi non sanguinano molto. Non ci sono tagli profondi. Può darsi che se mi esce sangue non mi venga il crampo. A che cosa posso pensare, adesso? pensò. A niente. Non devo pensare a niente e aspettare che arrivino i prossimi. Vorrei proprio che fosse stato un sogno, pensò. Ma chissà? Avrebbe potuto finir bene. Il prossimo squalo che arrivò era un galano isolato. Arrivò come un maiale al truogolo, se un maiale avesse una bocca così grande da potervi metter dentro una testa d'uomo. Il vecchio lasciò che azzannasse il pesce e poi gli immerse a fondo nel cervello il coltello legato al remo. Ma lo squalo fece un balzo all'indietro mentre si girava, e la lama del coltello si spaccò. Il vecchio si rimise al timone. Non guardò neanche il grosso squalo che affondava lentamente nell'acqua mostrandosi prima a grandezza naturale, poi piccolo, poi minuscolo. Era una cosa che affascinava sempre il vecchio. Ma ora non lo guardò neanche. “Ho ancora la gaffa”, - disse. “Ma non servirà a niente. Ho due remi e la barra del timone e la mazza.” Ormai hanno vinto loro, pensò. Sono troppo vecchio per uccidere gli squali a mazzate. Ma cercherò di farlo finché avrò i remi e la mazza e la barra del timone. Immerse le mani nell'acqua per bagnarle. Era pomeriggio avanzato e non si vedeva che il mare e il cielo. Nel cielo vi era più vento di prima e il arecchio sperò di veder presto terra. “Sei stanco, vecchio”, - disse. “Sei stanco dentro.” Gli squali non lo azzannarono più fino al tramonto. Il vecchio vide le pinne brune seguire la vasta scia che il pesce doveva aver fatto nell'acqua. Non indugiarono neanche sulla scia. Puntavano direttamente sulla barca, nuotando l'uno accanto all'altro. Il vecchio bloccò la barra del timone, diede volta alla draglia e si allungò a poppa a cercare la mazza. Era l'impugnatura di un remo spezzato segata a un'ottantina di centimetri di lunghezza. Poteva venir usata con efficacia con una mano sola a causa della forma dell'impugnatura, e il vecchio l'afferrò con la mano destra, flettendovi sopra la mano mentre guardava gli squali che si avvicinavano. Erano tutti e due galanos. Devo lasciare che il primo si attacchi e poi colpirlo sulla punta del naso o proprio in cima alla testa, pensò. I due squali si accostarono insieme e quando vide quello più vicino aprire le mascelle e affondarle nel fianco argenteo del pesce, il vecchio levò alta la mazza e l'abbatté pesante picchiando sulla testa dello squalo. Sentì la solidità elastica quando vi calò la mazza. Ma sentì anche la rigidità dell'osso e colpì di nuovo, forte sul muso, lo squalo, mentre questo si staccava scivolando dal pesce. L'altro squalo si era allontanato e ora si riaccostò con le mascelle spalancate. Il vecchio vide qualche pezzetto della carne del pesce sporgere bianca dall'angolo delle mascelle dello squalo, quando questo azzannò il pesce e chiuse le mascelle. Il vecchio si voltò verso di lui e colpì soltanto la testa e lo squalo lo guardò e strappò il pezzo di carne. Il vecchio gli abbatté di nuovo addosso la mazza mentre si staccava per inghiottire e colpì soltanto la pesante, solida elasticità. “Su, galano”, - disse il vecchio. “Ricomincia.” Lo squalo si accostò con violenza e il vecchio lo colpì mentre chiudeva le mascelle. Lo colpì con solidità e da tutta l'altezza cui riuscì ad alzare la mazza. Questa volta sentì l'osso alla base del cervello e tornò a colpire nello stesso punto mentre lo squalo strappava la carne lentamente e si staccava scivolando dal pesce. Il vecchio attese che ritornasse, ma nessuno dei due squali si mostrò. Poi ne vide uno che nuotava a cerchi sulla superficie. Non vide la pinna dell'altro. Non potevo aspettarmi di ucciderli, pensò. Avrei potuto farlo ai miei tempi. Ma li ho feriti tutti e due gravemente e né l'uno né l'altro deve sentirsi molto bene. Se avessi potuto usare una mazza a due mani, il primo lo avrei ucciso di sicuro. Anche adesso, pensò. Non volle guardare il pesce. Sapeva che una metà ne era stata distrutta. Mentre combatteva con gli squali, il sole era tramontato. “Presto sarà buio”, - disse. “Allora dovrei vedere le luci di Avana. Se sono troppo a est vedrò le luci di una delle spiagge nuove.” Non posso essere tanto al largo, adesso, pensò. Spero che nessuno sia stato in pensiero per me. Naturalmente c'è soltanto il ragazzo, a stare in pensiero. Ma sono certo che ha avuto fiducia. Qualche vecchio pescatore sarà in pensiero. Anche molti altri, pensò. La mia città è buona. Non poteva più parlare col pesce perché il pesce era stato troppo mutilato. Poi gli venne qualcosa in mente. “Mezzo pesce”, - disse. “Tu che sei stato un pesce. Perdonami di essere andato troppo al largo. Ho mandato in malora tutti e due. Ma abbiamo ucciso molti squali, tu e io, e ne abbiamo mandato in malora molti altri. Quanti ne hai uccisi tu, vecchio pesce? Non hai certo quella spada sulla testa per niente.” Gli piaceva pensare al pesce e a ciò che avrebbe potuto fare a uno squalo se avesse potuto nuotare. Avrei dovuto staccargli il rostro, per combattere contro di loro, pensò. Ma non c'era una scure e non c'era un coltello. Ma se l'avessi, e avessi potuto legarlo all'impugnatura di un remo, che arma. Allora avremmo potuto combatterli insieme. Che cosa farai adesso, se vengono durante la notte? Che cosa puoi fare? “Combatterli”, - disse. “Li combatterò fino alla morte.” Ma ora, nel buio, e senza luci in vista e senza chiarori, e soltanto col vento e la spinta regolare della vela, gli parve di essere già morto, forse. Congiunse le mani e si tastò le palme. Non erano morte e gli bastava aprirle e chiuderle per risuscitare il dolore della vita. Appoggiò la schiena a poppa e capì che non era morto. Glielo dissero le spalle. Devo dire tutte quelle preghiere che ho promesso se riuscivo a prendere il pesce, pensò. Ma sono troppo stanco per dirle adesso. È meglio che mi metta il sacco sulle spalle. Si distese a poppa e girò il timone e cercò il chiarore che doveva apparirgli nel cielo. Ne ho una metà, pensò. Forse avrò la fortuna di portare a casa la metà anteriore. Devo avere anch'io un po' di fortuna. No, disse. Hai violato la tua fortuna quando sei andato troppo al largo. “Non fare lo stupido”, - disse ad alta voce. “E resta sveglio e bada al timone. Può darsi che tu abbia ancora molta “fortuna.” “Mi piacerebbe comprarne un po', se c'è qualche posto dove la vendono”, - disse. Con che cosa potrei comprarla? si chiese. Potrei comprarla con una fiocina perduta e un coltello rotto e due mani ferite? “Forse”, - disse. “Hai cercato di comprarla con ottantaquattro giorni di mare. E quasi te l'avevano venduta.” Bisogna che non pensi sciocchezze, penso. La fortuna è una cosa che viene in molte forme e chi sa riconoscerla? Però ne comprerei un po' in qualsiasi forma e pagherei quel che mi chiedono. Come vorrei vedere il riflesso delle luci, pensò. Vorrei troppe cose. Ma questa è la cosa che vorrei adesso. Cercò di sistemarsi più comodamente al timone e dal dolore capì che non era morto. Vide il riflesso delle luci della città quando avrebbero dovuto essere le dieci di quella sera. Dapprima erano visibili soltanto come la luce nel cielo prima che si levi la luna. Poi si videro chiaramente attraverso l'oceano, increspato adesso da una brezza crescente. Girò il timone in direzione della luce e pensò che presto, ormai, sarebbe giunto al limite della corrente. Ormai è finita, pensò. Probabilmente mi attaccheranno di nuovo. Ma che cosa può fare contro di loro un uomo disarmato, al buio? Ora era rigido e indolenzito, e le ferite e tutte le parti stanche del corpo gli facevano male nel freddo della notte. Spero di non dover tornare a combattere, pensò. Spero tanto di non dover tornare a combattere. Ma verso mezzanotte combatté e questa volta sapeva che il combattimento era inutile. Giunsero in una frotta, e il vecchio riuscì a vedere soltanto le linee fatte nell'acqua dalle pinne e la loro fosforescenza quando si gettarono sul pesce. Prese a mazzate le teste e udì le mascelle serrarsi e la barca scrollata mentre gli squali attaccavano da sotto. Colpì disperatamente qualcosa che si poteva soltanto sentire e udire e sentì qualcosa impadronirsi della mazza e la mazza scomparve. Strappò dal timone la barra e ricominciò a sferrare mazzate, stringendola con tutt'e due le mani e abbattendola più volte. Ma ormai erano già arrivati a prua e si ammassavano l'uno dopo l'altro e tutti insieme, e mentre si voltavano per ritornare subito, i pezzi di carne strappati si vedevano luminosi sott'acqua. Alla fine, uno giunse alla testa e il vecchio capì che era finita. Abbatté la barra sulla testa dello squalo mentre le mascelle erano serrate nella testa del pesce, che non si lasciava staccare. Colpì una e due e più volte. Udì la barra che si spezzava e batté lo squalo con l'impugnatura scheggiata. La sentì penetrare e sapendo che era tagliente, la immerse di nuovo. Lo squalo lasciò la presa e si staccò rivoltandosi. Fu l'ultimo squalo della schiera ad avvicinarsi. Non c'era più niente da mangiare, per loro. Il vecchio ora respirava a stento, e sentiva un sapore strano in bocca. Era dolciastro e ramoso e per un momento ne ebbe paura. Ma durò poco. Sputò nell'oceano e disse: “Mangiate anche questo, galanos. E sognate di aver ucciso un uomo”. Sapeva di essere sconfitto ormai definitivamente e senza rimedio e ritornò a poppa e vide che l'estremità scheggiata della barra riusciva a entrare nel suo foro abbastanza da permettergli di pilotare la barca. Si mise il sacco sulle spalle e raddrizzò la direzione. Navigava senza fatica, adesso, e il vecchio non aveva pensieri né sensazioni di alcun genere. Ormai era al di là di tutto e pilotava la barca per ritornare al suo porto meglio e con più intelligenza che poteva. Durante la notte gli squali azzannarono la carcassa come si possono raccogliere le briciole sulla tavola. Il vecchio non vi badò e non badò a nulla fuori che al timone. Notò soltanto come navigava leggera e bene la barca, adesso che non aveva quel gran peso accanto. È una buona barca, pensò. È solida e non è danneggiata, a parte la barra del timone. Questa è facile sostituirla. Sentì che era dentro la corrente ora e vide le luci dei villaggi rivieraschi lungo la spiaggia. Ora sapeva dov'era e non era nulla tornare a casa. Certo il vento è un nostro amico, pensò. Poi soggiunse: a volte. È il grande mare coi nostri amici e i nostri nemici. È il letto, pensò. Il letto è il mio amico. Soltanto il letto, pensò. Il letto sarà una grande cosa. È facile quando si è battuti, pensò. Non avevo mai provato com'è facile. E che cos'è stato a batterti, pensò. “Niente”, - disse ad alta voce. “Sono andato troppo al largo.” Quando entrò nel piccolo porto le luci della Terrazza erano spente e il vecchio sapeva che tutti erano a letto. La brezza aveva continuato ad alzarsi, e ora soffiava forte. Però il porto era tranquillo e il vecchio approdò nel piccolo tratto di pietre sotto gli scogli. Non c'era nessuno ad aiutarlo, così issò la barca meglio che poté. Poi scese e la legò a uno scoglio. Disarmò l'albero e serrò la vela e la legò. Poi si mise in spalla l'albero e si avviò verso la salita. Fu allora che capì la profondità della sua stanchezza. Si fermò un momento e si voltò a guardare e vide alla luce delle lampade sulla strada la grande coda del pesce, che sorgeva ritta dietro alla poppa della barca. Vide la bianca linea nuda della colonna vertebrale e la massa scura della testa col rostro sporgente e tutta la nudità in mezzo. Riprese la salita e giunto in cima cadde e rimase un momento disteso con l'albero sulla spalla. Cercò di alzarsi. Ma era troppo difficile, e rimase lì seduto con l'albero sulla spalla e guardò la strada. Sull'altro lato della strada passò un gatto a fare gli affari suoi e il vecchio lo guardò. Poi guardò soltanto la strada. Alla fine posò l'albero a terra e si alzò. Raccolse l'albero e se lo mise in spalla e si avviò per la strada. Dovette sedere cinque volte prima di arrivare alla sua capanna. Nella capanna appoggiò l'albero alla parete. Nel buio trovò una bottiglia d'acqua e bevve un sorso. Poi si distese sul letto. Si tirò la coperta sulle spalle e poi sulla schiena e sulle gambe e dormì a faccia in giù sui giornali con le braccia tese e le palme delle mani girate. Dormiva ancora quando il ragazzo si affacciò alla porta la mattina. Il vento era così forte che le paranze non potevano uscire, e il ragazzo aveva dormito fino a tardi e poi era venuto alla capanna del vecchio come faceva ogni mattina. Il ragazzo vide che il vecchio respirava e poi vide le mani del vecchio e si mise a piangere. Uscì senza far rumore per andare a prendere un po' di caffè e lungo tutta la strada continuò a piangere. C'erano molti pescatori intorno alla barca intenti a guardare ciò che le era legato accanto, e uno era nell'acqua, coi calzoni arrotolati, e misurava lo scheletro con un pezzo di lenza. Il ragazzo non scese. Vi era già stato e un pescatore custodiva la barca per lui. - Come sta? - gridò un pescatore. - Dorme, - rispose il ragazzo. - Non gli importava che lo vedessero piangere. “Non disturbatelo. Nessuno. - Era lungo cinque metri e mezzo dal muso alla coda, - gridò il pescatore che lo stava misurando. - Lo credo, - disse il ragazzo. Andò alla Terrazza e chiese una lattina di caffè. - Caldo e con molto latte e zucchero. - Nient'altro? - No. Più tardi vedrò che cosa può mangiare. - Che pesce, - disse il proprietario. - Non ho mai visto un pesce simile. Erano due bei pesci anche quelli che hai preso tu ieri. - Accidenti ai miei pesci, - disse il ragazzo. E ricominciò a piangere. - Vuoi bere qualcosa? - chiese il proprietario. - No, - disse il ragazzo. - Di' che non disturbino Santiago. Poi ritorno. - Digli che mi dispiace. - Grazie, - disse il ragazzo. Il ragazzo portò la lattina di caffè caldo nella capanna del vecchio e gli sedette accanto aspettando che si svegliasse. Una volta parve che stesse per svegliarsi. Ma era ripiombato in un sonno pesante e il ragazzo aveva attraversato la strada a farsi prestare un po' di legna per scaldare il caffè. Finalmente il vecchio si svegliò. - Resta sdraiato, - disse il ragazzo. - Bevi questo. Gli versò un po' di caffè in un bicchiere. Il vecchio lo prese e lo bevve. - Mi hanno battuto, Manolin, - disse. - Mi hanno proprio battuto. - Ma non ti ha battuto lui. Il pesce. - No. Davvero. È stato dopo. - Pedrico sta pensando alla barca e all'attrezzatura. Che cosa vuoi fare della testa? - Di' a Pedrico che la tagli e l'adoperi nelle trappole. - E la spada? - Tienila tu, se la vuoi. - Certo che la voglio, - disse il ragazzo. - Ora dobbiamo pensare a fare i nostri piani per tutto il resto. - Sono venuti a cercarmi? - Certo. Col guardiacoste e gli aeroplani. - L'oceano è molto grande, e una barca è piccola e difficile da vedere, - disse il vecchio. Si accorse di com'era piacevole avere qualcuno con cui parlare invece di parlare soltanto a se stesso e al mare: “Mi sei mancato” - disse. “Che cosa hai preso?” - Uno il primo giorno. Uno il secondo e due il terzo. - Bravo. - Ora torniamo a pescare insieme. - No. Io non ho fortuna. Non ho più fortuna. - Al diavolo la fortuna, - disse il ragazzo. - La fortuna te la porto io. - Che cosa diranno i tuoi? - Non me ne importa. Ieri ne ho presi due. Ma ora andremo a pesca insieme perché ho ancora molto da imparare. - Dobbiamo procurarci una buona lancia e tenerla sempre a bordo. Si può fare la lama con un foglio di balestra di una vecchia Ford. Possiamo farla affilare a Guanabacoa. Dev'essere affilata e non temprata, in modo che non si rompa. Il mio coltello si è rotto. - Mi procurerò un altro coltello e farò affilare la balestra. Quanti giorni durerà la brisa forte? - Forse tre. Forse di più. - Sarà tutto in ordine, - disse il ragazzo. - Tu mettiti a posto le mani, vecchio. - So come curarle. Questa notte ho sputato una cosa strana e ho sentito che mi si è rotto qualcosa nel petto. - Mettiti a posto anche quello, - disse il ragazzo. - Sdraiati, vecchio, che ora ti porto la camicia pulita. E qualcosa da mangiare. - Porta tutti i giornali dei giorni che non c'ero, - disse il vecchio. - Devi metterti a posto in fretta, perché ho ancora molto da imparare, e tu puoi insegnarmi tutto. Sei stato male? - Parecchio, - disse il vecchio. - Ti porterò il cibo e i giornali, - disse il ragazzo. - Riposati, vecchio. Ti porterò della roba dalla farmacia, per le mani. - Non dimenticarti di dire a Pedrico che la testa è sua. - No. Mi ricorderò. Quando il ragazzo uscì dalla porta e scese la strada rocciosa di coralli consunti, ricominciò a piangere. Quel pomeriggio arrivò una comitiva di turisti alla Terrazza, e mentre guardavano nell'acqua tra le latte vuote di birra e le barracudas morte, una donna vide una lunga, grande spina dorsale bianca con una coda enorme, che si alzava e dondolava con la corrente mentre il vento di Levante sollevava un gran mare pesante fuori dell'ingresso al porto. - Che cos'è? - chiese al cameriere, indicando la lunga colonna vertebrale del grande pesce, ormai spazzatura che aspettava di essere portata via dalla corrente. - Tiburon, - disse il cameriere. - Pescecane. Voleva spiegare cos'era successo. - Non sapevo che i pescecani avessero la coda così bella, così ben fatta. - Neanch'io, - rispose il suo compagno.
In cima alla strada, nella capanna, il vecchio si era riaddormentato. Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava. Il vecchio sognava i leoni.
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